Bar e ristoranti, come era prevedibile, non riapriranno dal 4 maggio, data fissata per la cosiddetta “Fase 2”, quella della ripartenza del Belpaese, a partire dalla sue strutture produttive. In realtà, più che una ripartenza, il nuovo Dpcm sulla convivenza con il Coronavirus, presentato ieri sera dal premier Giuseppe Conte, prospetta un allentamento del lockdown, con le attività commerciali che riapriranno solo il 18 maggio e le attività di ristorazione addirittura l’1 giugno, con la possibilità nel frattempo di continuare con la consegna a domicilio e organizzarsi con l’asporto. Poco, troppo poco, per un settore che, ricorda la Fipe, è destinato a perdere altri 9 miliardi di euro, per un conto toale che sale così a 34 miliardi di euro dall’inizio della crisi.
“I nostri dipendenti - dice la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe/Confcommercio) - stanno ancora aspettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno. Significano altri 9 miliardi di danni che portano le perdite stimate a 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi. Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro. Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, gli stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese. Accontentati tutti coloro che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo - conclude la Fipe - a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma”.
Focus - Fipe: il protocollo di sicurezza per la ripartenza
Un metro di distanza tra i tavoli e mascherine al personale di sala e cucina, come da indicazioni delle autorità sanitarie. Accessi differenziati, dove possibile, per i clienti in entrata e quelli in uscita, pagamenti preferibilmente digitali direttamente al tavolo, monitoraggio quotidiano delle condizioni di salute dei dipendenti, pulizia e sanificazione dei locali, gel igienizzante a disposizione di tutti.
Sono solo alcune delle misure che i ristoratori italiani sono pronti a predisporre per favorire una riapertura il più rapida possibile delle loro attività. Riapertura che, però, non avverrà prima dell’1 giugno, come deciso dall’ultimo Dpcm presentato ieri dal premier Giuseppe Conte. Le proposte sono comunque contenute all’interno di un protocollo stilato da un gruppo di lavoro organizzato dalla Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, sotto la supervisione scientifica di un qualificato infettivologo. Trentacinque pagine in cui si rappresentano le procedure di sicurezza da applicare in bar, ristoranti e servizi di catering.
“Il mondo della ristorazione è pronto a ripartire, impegnandosi a garantire la sicurezza con uno specifico protocollo organizzativo delle attività, messo a disposizione della categoria, al fine di tutelare i rischi di contaminazione sia per i clienti che per i dipendenti - sottolinea il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani -, ma è chiaro che non basterà per un ritorno immediato alla normalità. Fino a quando saranno in vigore le misure di distanziamento sociale, con le diverse modalità di fruizione dei servizi dei Pubblici Esercizi, è evidente che non si potrà lavorare a pieno regime. È dunque indispensabile che le istituzioni supportino economicamente il settore in questa fase transitoria. Per realizzare questo protocollo - prosegue il presidente - abbiamo seguito le indicazioni delle autorità sanitarie e ci siamo avvalsi di una consulenza scientifica di primo livello. Abbiamo messo a disposizione delle Autorità competenti il nostro documento come riferimento operativo, ma è chiaro che abbiamo bisogno anche di molto altro supporto. Le misure di sostegno all’economia finora approntate non sono state pensate per i Pubblici Esercizi, con la conseguenza che 50.000 imprese rischiano di non riaprire. Serve un segnale forte da parte dell’esecutivo, sui temi degli indennizzi per chi ha subito ingenti perdite di fatturato, della liquidità, della fiscalità, degli strumenti di protezione sociale come la cassa integrazione, oltre che interventi per le locazioni commerciali. La fase due dovrà essere accompagnata da provvedimenti mirati a tenere in vita la
qualificata rete dei Pubblici Esercizi, con il loro grande valore, anche sociale, evitando l’esplosione dei tassi di mortalità, la dispersione di professionalità faticosamente costruite, l’infiltrazione della criminalità. Per essere chiari, un locale che vedrà ridimensionato il suo numero di coperti o comunque ridotta la sua attività, ha bisogno di sostegno, anche in tema di tributi locali. Confido e spero che il Governo predisponga calibrati interventi in aiuto del sistema turistico italiano, di cui i Pubblici Esercizi sono la componente essenziale, all’interno di un piano strategico di lungo periodo, con investimenti a supporto della domanda, con la semplificazione delle regole e l’innovazione delle politiche”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024