Torna a crescere la paura per il mondo del vino italiano che questa volta non potrebbe essere salvato dai dazi Usa. Fino ad oggi la “mannaia” delle gabelle americane ha colpito l’Italia principalmente sul fronte dei formaggi e degli spirits, risparmiando, al contrario di tutti gli altri produttori europei, i vini. Ma il rischio di un loro coinvolgimento appare sempre più forte e le conseguenze economiche sarebbero drammatiche se guardiamo, perlomeno, a quello che è successo in Francia, Paese per anni leader nell’export di vino verso la nazione, gli Stati Uniti, saldamente in testa in quanto a consumi. Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma sul mercato del vino, ha analizzato quello che è successo nelle esportazioni di vini fermi francesi sul mercato americano a partire dalla fine dello scorso anno. Considerando l’export di tali vini nel periodo Novembre 2019-Marzo 2020, vale a dire dal primo mese di applicazione piena del dazio aggiuntivo all’ultimo pre-Covid (e, quindi, non influenzato dagli effetti economici della pandemia) e confrontandolo con lo stesso intervallo di tempo dell’anno precedente, il calo registrato è del 24% a valori e del 14% a volumi. Nomisma Wine Monitor cita un termine di paragone osservando che, nello stesso periodo di tempo, le importazioni a volume negli Stati Uniti della stessa categoria di vini sono diminuite per meno del 2%, restando stazionarie per quanto riguarda l’Italia (-0,4%) e addirittura in crescita nel caso della Nuova Zelanda (+8%).
Non c’è dubbio che, in caso di via libera ai dazi, il vino italiano si troverebbe in una situazione molto simile. E a pagarne le conseguenze sarebbero le denominazioni “top”, quelle che guardano alla fascia più “nobile” del mercato.
“Un eventuale dazio sulle esportazioni di vini fermi italiani - dichiara Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor - andrebbe a colpire soprattutto quelli di fascia alta, già fortemente penalizzati dalla chiusura dell’Horeca in gran parte degli Usa, il principale canale di vendita dei nostri fine wines”. In effetti, sottolinea Nomisma Wine Monitor, il calo subito dalle esportazioni francesi non ha avuto eguali ad esempio nei vini spagnoli anch’essi penalizzati dal dazio di ottobre 2019 ma contraddistinti da un posizionamento di prezzo medio notevolmente più basso: nello stesso periodo di tempo, la riduzione dell’export di vini fermi dalla Spagna negli Usa si è limitata ad un -3%. Ma non è tutto. Pantini aggiunge che “un’ulteriore dimostrazione del fatto che gli eventuali dazi aggiuntivi andrebbero a colpire soprattutto i nostri fine wines la si desume dal crollo nell’export dei vini rossi Dop della Borgogna che nel medesimo periodo di tempo analizzato è stato del 34%. E tali vini presentano un prezzo all’export superiore del 210% a quello medio dell’intera categoria di vini fermi francesi esportati negli Usa”.
Il danno inferto dai dazi all’export di vini fermi francesi è stato, quindi, doppiamente rilevante: se da un lato ha ridotto le quantità esportate, dall’altro ha costretto i produttori transalpini ad una rimodulazione verso il basso, in termini di prezzo, dell’offerta di vendita, nel tentativo di preservare la quota di mercato. Il prezzo medio all’export dei vini fermi francesi negli Stati Uniti è crollato dai massimi di maggio 2019, quando superava i 9,4 euro al litro, ai 6 euro di marzo 2020, un calo che vale oltre il 36%. Numeri a cui l’Italia guarda con preoccupazione alla luce anche della conclusione, avvenuta nella giornata di ieri, dell’ennesima consultazione pubblica indetta dall’Ustr (United States Trade Rapresentative) per il nuovo “giro di giostra” che dovrebbe indicare i prodotti soggetti a dazi aggiuntivi, a partire dal prossimo 12 agosto, da parte dell’amministrazione statunitense nell’ambito dell’ormai noto “contenzioso Boeing-Airbus”.
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