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ITALIAN FOOD

Castagna italiana, produzione tra alti e bassi. E il settore soffre la cancellazione degli eventi

In un decennio persi 20 milioni di chili. Nel 2020 bene la Campania, prima regione produttiva italiana e la Toscana. In ribasso Piemonte e Lazio
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Castagna italiana, produzione tra alti e bassi. E il settore soffre la cancellazione degli eventi

L’autunno è sinonimo anche di castagne. Un frutto dalla grande tradizione e che ancora rappresenta un’importante risorsa economica per molte aree rurali del Belpaese. Certo, siamo lontani dai tempi in cui, citando il grande poeta Giovanni Pascoli, il castagno era “l’italico albero del pane”, perché garantiva cibo in quantità (in particolar modo alle comunità montane) e significava “salvezza” nei momenti di crisi. Basti pensare che nel 1911 la produzione di castagne ammontava a 829 milioni di chili. Un’importanza che si lega anche alla sfera ambientale: il castagno è un baluardo per la tutela del paesaggio montano senza dimenticare che la castagna e i marroni esprimono identità, storia e valori e quindi socialità. Ingredienti che si ritrovano anche nella cucina moderna perché la castagna significa anche versatilità: dalle farine ai dolci, il suo impiego è trasversale e non si limita solo al classico padellone forato da mettere sopra il fuoco per le caldarroste, rito aggregativo che segna il passo della nuova stagione.
Ma in tempo di Covid qual è lo stato dell’arte della castagna italiana? Coldiretti ha stimato una produzione in crescita, superiore ai 35 milioni di chilogrammi grazie anche ad un settembre particolarmente favorevole. Numeri comunque lontani (in un decennio si sono persi 20 milioni di chili) dai fasti del passato, un crollo in buona parte causato dal cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus), insetto parassita nemico delle piante contro cui è stata avviata una capillare guerra biologica con la diffusione dell’insetto Torymus sinensis che è un antagonista naturale.
L’Italia resta comunque uno dei principali produttori e vanta quindici prodotti a denominazione di origine legati al castagno che hanno ottenuto il riconoscimento europeo. Cinque, come detto, sono in Toscana (il Marrone del Mugello Igp, il Marrone di Caprese Michelangelo Dop, la Castagna del Monte Amiata Igp, la Farina di Neccio della Garfagnana Dop e la Farina di Castagne della Lunigiana Dop); tre in Campania (la Castagna di Montella Igp, il Marrone di Roccadaspide Igp e il Marrone di Serino/Castagna di Serino Igp) e Veneto (il Marrone di San Zeno Dop, i Marroni del Monfenera Igp ed i Marroni di Combai Igp); due per il Piemonte (la Castagna Cuneo Igp ed il Marrone della Valle di Susa Igp); uno a testa per Emilia Romagna (il Marrone di Castel del Rio Igp) e il Lazio (la Castagna di Vallerano Dop). A questi si aggiungono due mieli di castagno: il Miele della Lunigiana Dop della Toscana e il Miele delle Dolomiti Bellunesi Dop del Veneto. Il 2020, guardando ai dati pubblicati dal Centro Studio e Documentazione del Castagno, ha visto un andamento altalenante nel Belpaese con regioni che hanno avuto dei rialzi produttivi ed altre che hanno sofferto. Ad incidere, oltre al clima, anche il Covid, soprattutto per i produttori abituati ad operare in regime di filiera corta e costretti adesso ad affidarsi ad intermediari.
La Campania è la prima regione produttiva italiana (13.800 ettari) ed ha visto un incremento del 20/30% sul 2019. Bene anche la Toscana (prima regione per numero di Dop ed Igp con cinque riconoscimenti) ed Emilia Romagna (+30%); in pareggio il Trentino. Col segno rosso troviamo la Calabria (-20/30%); il Lazio che conta più di 6.000 imprese nel settore (-20%) ed il Piemonte con un -20% per la produzione intensiva e addirittura un calo del 40/50% per quella tradizionale
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A pesare sul comparto, però, anche l’annullamento di eventi importanti, causa emergenza sanitaria, ad iniziare dalla Fiera del Marrone di Cuneo. Fiere ed appuntamenti tradizionali che storicamente rappresentavano una vetrina importante per il prodotto e un canale di vendita privilegiato.
Un altro problema è la provenienza che può confondere il consumatore riguardo all’italianità dei prodotti. Il rischio, ha sottolineato Coldiretti, “è quello di trovarsi nel piatto, senza saperlo, castagne straniere provenienti soprattutto da Portogallo, Turchia, Spagna e dalla Grecia, considerato che le importazioni nel 2019 sono risultate pari a ben 32,8 milioni di chili di castagne, spesso spacciate per italiane, con forti ripercussioni sui prezzi corrisposti ai produttori”.
Coldiretti ha richiesto più controlli sull’origine mettendo in evidenza anche “la situazione dei trasformati, per i quali non vi è l’obbligo di etichettatura di origine e per le farine di castagne che, non avendo un codice doganale specifico, non è neppure dato a sapersi quante ne vengano importate”.

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