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RICONOSCIMENTI

Dopo la Dieta Mediterranea e la Pizza, la Cucina Italiana sogna il riconoscimento Unesco

La candidatura, lanciata da Maddalena Fossati, direttrice de La Cucina Italiana: “un riconoscimento necessario per la cucina più amata nel mondo”
COMITATO SCIENTIFICO, CUCINA ITALIANA, LA CUCINA ITALIANA, MADDALENA FOSSATI, PATRIMONIO UNESCO, Non Solo Vino
La Cucina Italiana, capolavoro tra i capolavori

Dopo la Dieta Mediterranea, inserita come patrimonio immateriale nel 2013, la Coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, arrivata al riconoscimento nel 2014, e l’Arte del pizzaiuolo napoletano, nel 2017, prende quota la candidatura a Patrimonio Immateriale Unesco la Cucina Italiana, progetto avviato nel luglio 2020 su iniziativa di Maddalena Fossati, direttrice de “La Cucina Italiana”, in collaborazione con le agenzie SpoonGroup e BIA, e con il sostegno e il supporto dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del Ministero dei Beni Artistici e Culturali e dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani.
“Durante il primo lockdown, in cui abbiamo fatto tante dirette dalle cucine di casa dei grandi chef - da Bottura a Cracco, da Oldani alla Klugmann, da Cannavacciuolo a Niko Romito - per la prima volta la cucina dei grandi cuochi si è fusa con quella domestica, rendendo ancora più evidente la mancanza, storica, del giusto riconoscimento al patrimonio gastronomico dell’Italia, cosa curiosa per la cucina più amata e assaggiata quotidianamente nel mondo”, racconta a WineNews Maddalena Fossati, direttrice de “La Cucina Italiana”. Quella della candidatura a Patrimonio Unesco, però, non è una proposta estemporanea, “ma un’idea che aspettava solo il momento giusto. Ho chiesto quindi al primo dei nostri ambasciatori, Massimo Bottura, di inaugurare una serie di numeri de La Cucina Italiana, codiretti insieme agli chef, raccontando la gastronomia italiana tutti insieme, portandola al grande obiettivo di arrivare a Parigi. L’idea è quella di unire l’Italia intera per arrivare ad un riconoscimento che potrebbe fare la differenza per tutti, per il nostro Pil, per il turismo, e per il nostro orgoglio e la nostra identità, perché quando parliamo di Italia parliamo di cibo, e viceversa. Il cammino è proseguito, da luglio in poi, con gli altri chef - continua Maddalena Fossati - approfondendo il racconto della filiera alimentare italiana. Nel frattempo, abbiamo costituito un comitato scientifico che stabilirà esattamente cosa chiedere e cosa proporre all’Unesco per sostenere questa candidatura. Il cammino è lungo, ma è l’occasione per creare un’alleanza tra tutti gli italiani, sotto un’unica bandiera”.
Del comitato scientifico chiamato a redigere il dossier, fanno parte, tra gli altri, Roberta Garibaldi, docente di Tourism Management e presidente Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, Alberto Capatti, Storico dell’alimentazione e della Gastronomia italiana, membro del Comitato direttivo dell’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation, Massimo Montanari , docente di Storia Medievale e Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, e Vito Teti, antropologo e scrittore, direttore del Centro Demo-Antropologico Raffaele Lombardi Satriani dell’Università della Calabria, membro del Comitato Italiano di Antropologia dell’Alimentazione.
Non c’è solo la gastronomia tra i beni e le ricchezze del Belpaese che hanno ricevuto il riconoscimento Unesco, ne fanno parte anche i “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato”, dal 2014, e le “Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”, dal 2019, come beni materiali.
Al pari della Costiera Amalfitana, delle Cinque Terre, del Cilento e Vallo di Diano, dei Sacri Monti, della Val d’Orcia, delle Ville e dei Giardini Medicei, iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale come paesaggio culturale, perché capaci di testimoniare l’unicità e la positiva interazione tra uomo e ambiente, nel caso specifico attraverso la viticoltura.
L’Italia accoglie anche tre delle sei città insignite del titolo di “Città Creative per la Gastronomia”, l’iniziativa promossa dall’Unesco per mettere in rete e promuovere la cooperazione tra i centri che hanno identificato la creatività e la gastronomia come elementi strategici per lo sviluppo urbano sostenibile. Parma e Alba hanno ricevuto il riconoscimento nel 2015 e 2017. Nel 2019 si è aggiunta all’elenco la città di Bergamo, grazie al suo patrimonio gastronomico ricco di prodotti tradizionali, tra cui spiccano i formaggi, che rappresentano un saldo legame fra la città e le valli. In Europa sono 29 i beni tutelati e legati all’enogastronomia 13 sono materiali e 16 immateriali. Le prime candidature risalgono alla fine degli anni Settanta, con il riconoscimento delle miniere di sale di Wieliczka e Bochnia (Polonia). Tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila sono state incluse le saline francesi di Salins-les-Bains e Arc-et-Senans (1982), la regione vitivinicola portoghese dell’Alto Douro (1989), il paesaggio della cultura vinicola dell’isola di Pico in Portogallo (1996), la regione vitivinicola ungherese del Tokaj (2002) e i vigneti terrazzati del Lavaux in Svizzera (2007).
Ma è nell’ultimo decennio che si assiste ad una rapida e consistente crescita dei beni inseriti nella lista Unesco, indice di una rinnovata attenzione e di un forte desiderio di tutelare la cultura enogastronomica locale sia nelle sue espressioni tangibili che intangibili. Escludendo l’Italia, si sono aggiunti i paesaggi agricoli di Causses e Cévennes (Francia) e di Kujataa (Danimarca), i territori vitivinicoli francesi dello Champagne e della Borgogna. Passando ai beni immateriali, l’elenco è assai più ampio e vario, includendo fra gli altri la cultura brassicola belga, il caffè turco, il pasto gastronomico dei francesi e le tecniche artigianali di produzione del lime di Morón de la Frontera in Spagna. Per quanto concerne le “Città Creative per la Gastronomia”, oltre alle 3 italiane figurano Burgos e Denia in Spagna, Östersund in Svezia e Bergen in Norvegia.

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