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GUERRA

L’Ucraina blocca le esportazioni: Europa e Italia fanno i conti con la dipendenza dai Paesi Terzi

Il Vecchio Continente non è autosufficiente per tanti prodotti alimentari. E il Belpaese dovrà fare a meno di 378 milioni di chili di concime
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I fertilizzanti agricoli

Non sarà la fine della globalizzazione, ma la guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina ha messo fine ad un lungo periodo di (relativa) pace nel Vecchio Continente, che durava da quasi 30 anni, e, allo stesso tempo, ha reso evidente quanto il mondo non graviti più intorno ad un unico polo, ma debba fare i conti con una complessità nuova, in cui l’Europa si ritrova un po’ più debole e meno indipendente di quanto fosse in passato, a partire da un aspetto fondamentale: gli approvvigionamenti del settore alimentare. “Oggi, per alcuni prodotti l’Europa dipende al 90% dall’estero”, ricorda Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, in un’intervista al “Quotidiano Nazionale”. “Dobbiamo calibrare nuove politiche per diventare il più possibile vicini all’autosufficienza, senza nulla togliere agli obiettivi ambientali”. Proprio come ha detto Carlo Petrini, parlando del modello italiano e della sua totale dipendenza, per certe produzioni, dall’estero (qui), da dove arriva la metà del mais necessario all’alimentazione del bestiame, il 35% del grano duro per la produzione di pasta e il 60% del grano tenero per la panificazione.

La produzione agricola europea, secondo De Castro, può essere aumentata “togliendo i limiti attualmente in vigore con la sospensione temporanea della superficie a riposo, la cosiddetta Efa. Vanno anche sospesi i vincoli sul non aumento delle superfici irrigue: serve acqua per coltivare”. Esiste poi un altro genere di problematica, che riguarda i fertilizzanti: “siamo in un quadro di quasi monopolio russo di nitrati e potassio, e un’agricoltura competitiva senza fertilizzanti è impossibile”, dice ancora De Castro. Difficoltà riguardano anche l’olio di girasole, per il quale l’Europa dipende soprattutto dall’Ucraina. Occorre perciò “trovare una sostituzione rapida e decidere se tornare all’olio di palma, purché certificato”, conclude il vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo.

Ad aggravare la situazione, dopo Russia e Bielorussia è arrivata la decisione dell’Ucraina di bloccare le esportazioni per prevenire una crisi alimentare, e così salgono a 378 i milioni di chili di concime che mancheranno all’Italia per fertilizzare i terreni destinati alle prossime semine, come sottolinea la Coldiretti. Si tratta di un provvedimento che colpisce particolarmente l’Italia, che ha importato dall’Ucraina ben 136 milioni di chili di fertilizzanti, mentre altri 171 milioni di chili arrivavano dalla Russia e 71 dalla Bielorussia secondo i dati Istat, ossia una quota superiore al 15% del totale delle importazioni.

L’annuncio dello stop alle esportazioni ucraine di concimi sta facendo ulteriormente impennare i costi di produzione delle aziende agricole che devono affrontare rincari di tutti i concimi. L’urea, che è il fertilizzante più importante per l’agricoltura, è balzata a quasi 1.000 euro a tonnellata contro i 350 euro a tonnellata del 2021, secondo il report Cai - Consorzi Agrari d’Italia, mentre il perfosfato minerale è passato da 170 agli attuali 330 euro/tonnellata e i concimi a contenuto di potassio sono schizzati da 450 a 850 euro/tonnellata.

L’Ucraina è uno dei grandi esportatori insieme alla Bielorussia che - spiega la Coldiretti - è il secondo produttore mondiale di potassio, ingrediente base di molti fertilizzanti, mentre la Russia produce più di 50 milioni di tonnellate all’anno di fertilizzanti, il 13% del totale mondiale, che vengono esportati in tutto il mondo. Agli effetti negativi per lo stop delle consegne dai tre Paesi coinvolti direttamente si aggiungono le difficoltà dei grandi produttori come il colosso norvegese Yara, che ha appena annunciato la temporanea riduzione della produzione in Europa. L’annuncio dell’Ucraina arriva infatti proprio alla vigilia delle semine primaverili necessarie all’Italia per aumentare di almeno un milione di ettari la superficie coltivata con la produzione di mais, girasole e soia per l’alimentazione degli animali, mentre in autunno le concimazioni serviranno per il grano duro per la pasta e quello tenero per la panificazione.

“Una risposta immediata può derivare dalla stessa capacità del settore agricolo di produrre energia con il biometano agricolo il cui processo di digestione anaerobica alimentato da scarti e rifiuti delle filiere agroalimentari che mette a disposizioni preziosi materiali fertilizzanti”, commenta il presidente Coldiretti Ettore Prandini, auspicando che “il Ministero della Transizione Ecologica adegui al più presto la disciplina, consentendo la equiparazione ai concimi di origine chimica nei piani di fertilizzazione per un libero utilizzo”. La sostanza organica residua, il cosiddetto digestato, contiene elementi della fertilità, quali azoto, fosforo e potassio ideali per la fertilizzazione dei terreni grazie all’apporto di sostanza organica e di elementi nutritivi. Se gli obiettivi del Pnrr saranno rispettati - spiega la Coldiretti - si stima di produrre 130 milioni di tonnellate di fertilizzante organico in grado di ridurre del 30% le emissioni del settore.

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