Una vendemmia a Mozia è un’esperienza che non si può davvero consigliare a nessuno. Dalla levataccia che anticipa l’alba, al caffè per strada, che sveglia bruscamente uno stomaco assonnato. Dall’odore di gasolio della barca, ai colori pastello di cui si tingono le saline all’innalzarsi della luce. Dal mormorio che accompagna i gesti di chi si prepara a lavorare, all’odore umido di mare basso, che permea ogni oggetto della laguna. E che a fine giornata avrà invaso ogni alveolo dei propri polmoni. Si calpesta la storia a Mozia, letteralmente: occhi attenti e mani garbate possono scoprire innumerevoli cocci di resti fenici fra le vigne, coperti da un terriccio sabbioso che accompagna le radici delle viti fino a sfiorare l’acqua salata. Alla luce e il calore inesorabili danno sollievo effimero l’intermittente brezza marina e la bevanda all’aloe che serve il bar a fianco al museo, allestito per dare ai visitatori consapevolezza di questo scrigno, custodito dalla Fondazione Whitaker. E da cui Tasca d’Almerita produce il Grillo più romantico e ostinato della Sicilia. Naso delicatissimo di zagara, acacia, melone bianco, cedro, mandorla e melissa; sorso sapido, sapido e poi ancora sapido, che d’improvviso scorre via con freschezza, lasciando iodio, pera, lavanda e mentuccia. Non si può davvero consigliare a nessuno: che non sia disposto a farsi trascinare in un mondo parallelo, sospeso dal tempo e intriso di pensieri.
(ns)
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