L’Italia si colloca al settimo posto al mondo tra i Paesi consumatori di caffè, con 5,2 milioni di sacchi annui, 95 milioni di tazzine sorseggiate ogni giorno, 1,6 in media per abitante. In termini pro-capite, sono notoriamente i Paesi del Nord Europa a presentare i livelli più alti: 4,4 tazzine quotidiane per la Finlandia, 3,2 per la Svezia e 2,6 per la Norvegia. Nonostante la radicata consuetudine del “caffè al bar”, il consumo domestico nei Paesi dell’Unione Europea rappresenta il 79% del totale, arrivando all’82% in Italia. Infatti, la Gdo italiana canalizza oltre la metà dei volumi di caffè torrefatto venduti, con un ulteriore 20,6% veicolato dal dettaglio tradizionale, dai negozi specializzati e dall’e-commerce. Il restante 25,2% si ripartisce tra alberghi, ristoranti, caffetterie e catering (15,4%), distributori automatici e Office Coffee Service (9,8%). Ecco i dati che scaturiscono da un report dell’Area Studi Mediobanca, rilanciato da Sca Italy, organizzazione di categoria che si impegna a supportare la filiera del caffè.
Con il report, diffuso nel quadro di una guida allo Specialty Coffee, si segnala che l’esportazione di caffè torrefatto dall’Italia è aumentata del 12,9% lo scorso anno. Il mercato mondiale del caffè torrefatto nel 2022 è valutato in 120 miliardi di dollari: rappresenta consumi pari a 170,8 milioni di sacchi da 60 kg, equivalenti a 3,1 miliardi di tazzine bevute ogni giorno su scala globale. Si prevede un aumento regolare delle quantità nei prossimi anni, con tassi di crescita compresi tra l’1% e il 2% che porterebbero a un consumo fino a 208 milioni di sacchi nel 2030, ovvero 3,8 miliardi di tazzine al giorno.
La produzione mondiale di caffè torrefatto è abbastanza parcellizzata nonostante la presenza di multinazionali. I primi dieci produttori soddisfano poco più del 35% della domanda mondiale, di cui il 16,1% in capo ai due leader mondiali: l’elvetica Nestlé e l’olandese JDE Peet’s. Nel novero dei principali produttori mondiali rientrano le due italiane Lavazza e Massimo Zanetti Beverage Group, che insieme rappresentano il 4,1% della torrefazione del green coffee globale.
Sebbene siano famose cento varietà di caffè, due sole hanno rilevanza commerciale, l’Arabica e la Robusta. Nel 2022 l’Arabica ha rappresentato il 56,2% della produzione mondiale, ma nel tempo la qualità Robusta ha incrementato la propria incidenza dal 39,2% dell’annata 2012-2013 al 43,8% di quella riferita al 2021-2022, grazie anche ad una maggiore resistenza climatica e ai parassiti, oltre che ad una resa produttiva superiore. Nell’ultimo trentennio le quotazioni dell’Arabica hanno segnato un premio di prezzo prossimo all’80% sulla Robusta, ma dal 2020 tale scarto è ulteriormente cresciuto fino a oltre il 140%.
Nonostante in Italia il caffè macinato in sacchetti resti il preferito, con il 73,6% dei volumi totali venduti nella Gdo, cialde e capsule vi incidono per il 16,2% e rappresentano il segmento maggiormente dinamico (+18,8% tra il 2020 e il 2021), anche grazie alla diffusione delle capsule compatibili. Gli altri formati (in grani e solubile) sono meno apprezzati nel nostro Paese. Il prezzo medio di vendita nella Gdo italiana è pari a 12,1 euro al kg. Le comparazioni internazionali indicano che in Italia abbia un costo del 50% superiore ai principali Paesi consumatori. Molto dipende dalla qualità e dal fatto che i diversi formati hanno quotazioni molto differenziate: nella Gdo italiana il macinato in sacchetti quota 7,9 euro al kg, cialde e capsule sono prezzate 31,3 euro al kg, il caffè in grani si vende a 8 euro al kg, mentre il solubile riporta un prezzo medio di 20,2 euro al kg. Inoltre, il fattore costo non sarebbe così determinante in Italia: il “rito del caffè” è profondamente radicato nel nostro Paese, tanto da renderlo poco elastico al prezzo e inattaccabile dai succedanei (tè, orzo e altre bevande calde).
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