L’Amarone della Valpolicella restituisce l’immagine di un territorio che fa i conti con le difficoltà di mercato che riscontrano tanti vini rossi del Bel Paese, ma si dimostra assolutamente in salute, con un valore, nel 2023 - dell’Amarone record - a 13 euro al litro per lo sfuso, una resa per ettaro salita fino a 25.000 euro (da 5.000 del 1993), con un giro d’affari legato al vino, intorno ai 600 milioni di euro, ed una valore ad ettaro, in Valpolicella (dove ce ne sono 8.600) che, in media, oscilla tra i 500.000 ed i 600.000 euro, valori tra i più alti in Italia. L’Amarone ha saputo, storicamente, rispondere alle richieste dei mercati - soprattutto anglosassoni e nord europei e da ultimo quelli dell’estremo Oriente - che privilegiavano vini morbidi ed avvolgenti, adatti anche al consumo lontano dai pasti, trovando nel metodo dell’appassimento (in lizza per il riconoscimento Unesco) un solido elemento dirimente. Oggi, questo unico elemento sembra non bastare più di fronte, soprattutto, al cambiamento degli stili enologici, orientato a prodotti dalle caratteristiche opposte. Occorre, dunque, un cambio culturale che, detto in altre parole, significa passare da una visione quantitativa (numero di bottiglie vendute) ad una qualitativa (valore del venduto). E, da questo punto di vista, l’Amarone dovrebbe essere capace di diventare un “fine wine”, cioè un vino capace di creare valore una volta immesso sul mercato. Alla base di questa fondamentale mutazione, un ripensamento anche della filosofia produttiva, dove l’appassimento non prevarichi le caratteristiche del vino ma si integri con le qualità dei vitigni, del suolo, del clima e della mano dell’uomo, ossia punti decisamente all’identità.
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