Un obiettivo che rispecchia la storia, il lavoro e l’unicità di qualcosa di veramente identitario. Il riconoscimento Unesco per il Chianti Classico è un sogno concreto, e che sarebbe meritato, per un territorio icona della Toscana da cui nasce uno dei vini italiani più famosi nel mondo, un “unicum” mozzafiato che si nutre dai profondi legami con vari aspetti, culturali in primis. E tutto questo grazie alla bellezza di un mosaico dove natura e mano dell’uomo si fondono, narrando insieme secoli di storia e di “antropizzazione illuminata”, e armoniosamente stratificata. Un paesaggio ancora intatto che trova, quindi, un filo conduttore con il passato, che è stato “decantato” da letterati e pittori, ma, al tempo stesso, altamente produttivo ed operoso, che si dispiega tra la Firenze del Rinascimento e la Siena del Medioevo: il “sistema delle ville-fattoria del Chianti Classico”, come è noto, è stato ufficialmente, inserito nell’elenco della “lista propositiva” italiana dei siti candidati a Patrimonio dell’Umanità. E, nel centenario del Consorzio del Chianti Classico (celebrato nei giorni scorsi, ndr), dove è stato presentato il “Manifesto di Sostenibilità” della denominazione, dal Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze, dove il Chianti Classico è raffigurato, con il suo simbolo, il Gallo Nero, dal grande pittore Giorgio Vasari nel soffitto tra le allegorie dei domini dei Medici, Eugenia Falini, responsabile scientifica della candidatura Unesco, ha divulgato, in maniera perfetta e puntuale, il “focus” sui valori che questo territorio esprime attraverso il paesaggio.
Un territorio che abbraccia “70.000 ettari fra due province diverse, Firenze e Siena, e che ha una caratteristica”, ovvero “quella di avere, da un lato, un confine abbastanza definito, quello della catena dei monti, e, dall’altro, invece, delle sequenze più aperte sia a nord che ad occidente; è più indeterminato però molto leggibile anch’esso”. Riguardo ai caratteri di questo territorio per cui possiamo parlare di un paesaggio culturale, la professoressa Falini cita “il dipinto di Giorgio Vasari. Vediamo una celebrazione di un luogo della Toscana rilevante ma che è soprattutto caratterizzato da due aspetti: essere una campagna ma anche un sistema di luoghi forti, di località importanti, fortificate, posizionate, e, dall’altra parte, quello di essere un territorio ricco di acque e molto rigoglioso, capace di produzioni che portano ricchezza. Questo fatto che proprio vediamo qui espresso, in maniera allegorica, in realtà ci segnala come in quegli anni, siamo nella metà del 1500, il territorio è già in un movimento, in una posizione di un processo di grande rilancio: è una fase di quella che viene chiamata con il termine latino di “renovatio territoriale”, che incide profondamente sul come era costruito e che si trovava ad essere, nella seconda metà del 1.300, travolto, come in gran parte dell’Italia e dell’Europa, sottoposto ad una serie di carestie, di epidemie, di guerre che naturalmente mettono in crisi completamente il modello precedente. Questa “renovatio” si fonda su quella che è una nuova economia agricola che le città dominanti porteranno avanti con molta determinazione e che viene fatta propria dal governo mediceo e quindi qui evidenziata. Va segnalato anche un altro aspetto da questo dipinto: quello dell’elemento emblematico del gallo nero, che testimonia la presenza di una comunità, di una comunità di intenti e di luogo che rimarrà presente, molto attiva, come ben sappiamo. Quindi è un’immagine di un paesaggio culturale sicuramente riconoscibile e che non è soltanto un manifesto della celebrazione del principe ma è anche un attestato di una strategia in atto che ha una grande lungimiranza. Parliamo di un processo in atto perché in effetti questo territorio è abbastanza isolato rispetto ad i grandi movimenti e vie di comunicazione; è un territorio abitato da molto tempo, le tracce risalgono già al Paleolitico; ci sono tracce pre-romane, quelle etrusche, abbiamo anche presenza di notevoli elementi dell’età romana.
Ma è stato soprattutto col Medioevo che ha avuto un assetto organizzativo che ha dato una impronta di riferimento decisiva. Un territorio fortificato, il sistema stradale reticolare che troviamo ancora oggi, una presenza molto limitata di piccoli centri, ma molto qualificati, quelli che poi saranno citati dal dipinto di Vasari. Nella seconda fase del 1500 cominciano, fuori dai centri, a nascere i primi stabilimenti ed edifici e quindi si trasforma questo territorio che si affaccia verso la campagna. Il nuovo modello e sistema, che viene portato avanti con determinazione, è quello che ormai appare la forma più appropriata per lo sviluppo che è l’appoderamento mezzadrile e un’evoluzione in sistema di fattoria. Questo lo vediamo immediatamente da tutta l’iconografia storica di cui questo territorio, come gran parte della Toscana, è dotato”. A tal proposito viene presa come modello la Fattoria di Panzano che, continua Falini, “è una proprietà dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze che ha una diffusa presenza, anche in questo territorio”. I documenti storici mostrano “come i poderi fossero delle unità di abitazioni e di insediamento conformi, hanno tutti, infatti, la casa destinata all’abitazione del lavoratore posta al centro o comunque in una posizione dominante e di controllo, di presidio della serie delle aree agricole destinate ad essere curate e, all’interno, oltre ad una precisa definizione delle varie colture, la parte dedicata al bosco che è in questa zona dominante”.
Parliamo di un territorio che mostra “una grande attenzione anche nel passaggio dalla dinastia dei Medici a quella dei Lorena che pongono ulteriori attenzioni allo sviluppo agricolo perfezionando anche gli studi e le modalità di gestione e di produzione. Sono molto importanti perché testimoniano la presenza, per la prima volta nel mondo, di un’Accademia dedicata all’agricoltura, che è l’Accademia dei Georgofili dalla quale sono derivate poi delle preziose trattazioni in questa materia”. E poi c’è una fase ulteriore, una svolta nell’800 del secolo precedente, che trova espressione nel dipinto di Telemaco Signorini “che, nel presentare questo paesaggio, ne richiama gli elementi di configurazione fondamentali che sono ancora alla base di questo paesaggio che è oggetto, da allora, di ammirazione da tutti gli studiosi, i pittori, gli storici, i viaggiatori che diranno, come Fernand Braudel, che è il paesaggio più commovente del mondo”.
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