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MECENATISMO

Con il “Vino Civitas”, tornano a splendere le opere di Battistello Caracciolo e Luca Giordano

È l’ultimo importante restauro dell’Associazione Civita, in partnership con Tenuta Caparzo, in mostra, da domani, alla Galleria Corsini a Roma

Dopo la “Madonna del latte” di Bartolomé Esteban Murillo e una console settecentesca, e mentre è in corso l’intervento sulla “Lucrezia” di Scuola del Guercino che terminerà nel 2025, il “Sant’Onofrio” di Battistello Caracciolo (Napoli 1578-1635) e “Il tributo della moneta” di Luca Giordano (Napoli 1634-1705) tornano all’antico splendore. È l’ultimo importante restauro dell’Associazione Civita, organizzazione no profit di imprese ed enti di ricerca impegnata da oltre 35 anni in attività di mecenatismo culturale, in partnership con Tenuta Caparzo, storica griffe del Brunello di Montalcino della famiglia Gnudi Angelini, per contribuire, con un sostegno concreto, alla custodia del patrimonio artistico italiano, destinando parte dei proventi della vendita del “Vino Civitas” alla rinascita delle opere di grandi artisti. Un progetto delle Gallerie Nazionali di Arte Antica - Barberini Corsini delle cui collezioni fanno parte i capolavori restaurati, eccezionalmente esposti, da domani al 27 ottobre, alla Galleria Corsini a Roma.
I restauri sono stati realizzati dal Laboratorio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini e Palazzo Corsini, a Roma, grazie ai proventi raccolti con la vendita del “Vino Civitas” che anche in questa occasione ha rinnovato l’impegno dell’Associazione Civita, insieme alla Tenuta Caparzo, nel sostenere il restauro di opere particolarmente significative del museo, in seguito all’accordo sottoscritto dal 2019 e in corso fino al 2025. I “Vini Civitas”, in eleganti confezioni da 1, 2 e 6 bottiglie di Brunello di Montalcino, Sangiovese Toscana Igt, e Bianco Toscana Igt, dal 2003, hanno permesso all’Associazione Civita di recuperare capolavori quali anche la “Scena carnevalesca” di Bartolomeo Bianchini, il protome di cavallo “Medici Riccardi” risalente al IV secolo a.C., la Chiesa di San Francesco ad Amatrice, il “San Girolamo penitente” di Girolamo Romani detto il Romanino, “San Francesco d’Assisi abbraccia il crocifisso”, un gruppo scultoreo della prima metà del Novecento, 23 preziose urne funerarie etrusche del III secolo a.C., “Il transito della Vergine” e “La nascita della Vergine” di Giacinto Brandi, la “Madonna con bambino” di Piermatteo d’Amelia, la “Caccia con il coccodrillo” di Tommaso Maria Conca, una prestigiosa ceramica marchigiana del Cinquecento, “La Madonna col bambino” di Gentile da Fabriano, “La deposizione di Cristo nel sepolcro” appartenente alla Scuola Senese del Seicento e “La Madonna delle Grazie e Santi” del Perugino.
Il “Sant’Onofrio” è un dipinto realizzato tra il 1615 e il 1618 da Battistello Caracciolo, uno dei primi seguaci di Caravaggio nella sua permanenza a Napoli e uno degli artisti più talentuosi tra quelli che si cimentarono con le nuove tecniche apportate dal Merisi. In quest’olio su tela l’artista ha messo in scena gli effetti dell’ascetismo estremo del santo, rifugiatosi per più di sessant’anni nel deserto, dopo aver ripudiato le sue origini regali. La scena è resa ancora più cruda dallo sfondo scuro e dalla luce “caravaggesca” proveniente dalla parte posteriore destra, che evidenzia la fatica fisica di Onofrio che si appoggia al bastone e la sua figura emaciata e provata, coperta soltanto dalle foglie e caratterizzata dalla lunga barba e dai capelli bianchi. Il restauro appena concluso, diretto da Yuri Primarosa ed eseguito da Laura De Vincenzo e Vega Santodonato, permette una lettura piena del dipinto e dei suoi valori cromatici, oltre a confermare la centralità del disegno nella tecnica di Battistello emersa dalle indagini diagnostiche. La scoperta di un segno continuo su tutti e quattro i lati a 10 cm dal bordo della tela (incompatibile con la battitura della cornice di un “quadro da stanza”) ha inoltre permesso di circostanziare l’ipotesi di un’antica provenienza del dipinto da una chiesa, forse come pala laterale. Il “Tributo della moneta” di Luca Giordano, il più importante pittore napoletano del Seicento, e il più prolifico, proveniente dalla collezione Corsini, è stato in deposito esterno al Senato dal 1940 ed è stato esposta al pubblico per la prima volta nella Galleria in occasione della mostra dedicata al cardinale Neri Maria Corsini nel dicembre 2022. Torna ora negli appartamenti del Cardinale, ricollocato esattamente nella posizione registrata dall’inventario del 1750, dopo un lungo intervento di restauro durato più di un anno diretto da Alessandro Cosma ed eseguito da Pilar Grazioli. L’olio su tela realizzato dal pittore intorno al 1655-1660 venne donato a Papa Clemente XII Corsini (1730-1740) dal Cardinal Alessandro Aldobrandini, forse come ringraziamento per la nomina cardinalizia ricevuta nel 1730. L’importanza del quadro e del suo autore, molto apprezzato dalla famiglia Corsini, portò il Cardinal Neri Maria a sceglierla per la Galleria dei capolavori del suo appartamento, la cosiddetta Galleria del Cardinale. Il dipinto raffigura il celebre tema del “Tributo della moneta” e, in particolare, il momento in cui Pietro trova nel ventre di un pesce i denari necessari a pagare la tassa per il tempio per lui e per Cristo (Mt. 17, 24-27). L’intervento di restauro ha permesso finalmente di apprezzare le ricche cromie pensate dal pittore, come il bianco della veste di Cristo o l’azzurro del manto, realizzato con l’uso di lapislazzulo e di smaltino, oggi purtroppo alterato in maniera irreversibile in grigio. Ha inoltre fatto emergere le tre figure di Apostoli sulla destra e, soprattutto, dettagli prima invisibili come lo sfondo di paesaggio e la barca con la vela e il pescatore sulla sinistra, riferimento all’ambientazione dell’episodio, ma anche richiamo al ruolo di Pietro come “pescatore”.

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