
Il cibo come collante della relazioni umane, dal rituale della tavola alla condivisione della socialità, perché mangiare bene fa bene alla salute, mentale e fisica, mentre viceversa accade con il junk-food. E quei cibi sani, quei prodotti tipici di territori spesso di modeste dimensioni e legati a piccoli centri abitati e che rischiano lo spopolamento e il depauperamento, sono potenziali vittime di un circolo vizioso dettato dall’“infelicità di massa”. Temi cari a WineNews, e dei quali abbiamo parlato con Stefano Bartolini, professore di Economia politica ed Economia sociale all’Università di Siena e autore del volume “Ecologia della felicità. Perché vivere meglio aiuta il Pianeta” (per Aboca Edizioni, 2021, e che abbiamo incontrato all’Assemblea Slow Food alla Fao a Roma). Il punto di partenza è stato un assunto: “la felicità è la qualità e la quantità delle relazioni umane, perché le persone stanno male quando sono da sole”, sostiene Bartolini, che ricorda che “il cibo è territorio, comunità, socialità, radici, appartenenza ed identità, che sono tutte parole chiave per la felicità”.
E proprio il concetto di “infelicità di massa”, secondo il professore, è legato a una serie di fattori: su tutti, “il degrado delle relazioni che stiamo vivendo”. Prima i bambini “giocavano per strada insieme - dice - adesso stanno da soli a casa davanti agli schermi. Prima si faceva la spesa al negozio di quartiere, ora nei supermercati. Poi è arrivato Amazon. Non c’è più nessun contatto, non si intrattengono più quelle relazioni che formavano il tessuto sociale di quartiere”. Il parallelismo con il cibo fa quantomeno riflettere. “L’evoluzione è simile - dice Bartolini - siamo passati dall’agricoltura agli allevamenti industriali, distruggendo il legame del cibo con il territorio e con la comunità. Fino all’aberrazione massima del junk-food, che costa poco, fa male e viene consumato dai poveri”, portando ad esempio il paradosso dell’Africa dove “il problema principale oggi sta diventando l’obesità”.
Ci sono delle eccezioni. Bartolini insegna all’Università di Siena e cita il caso locale: “è la città con la percentuale di ultra novantenni sulla popolazione più alta d’Italia - racconta - e questo succede perché a Siena i vecchi non stanno da soli, anche grazie alle Contrade del Palio. Le piazze sono salotti dove le persone si fermano a parlare e molto in questo ha influito l’essere stata la prima città a pedonalizzare il centro”, spiegando a tal proposito come “il fattore di rischio più importante per la salute è la solitudine”. Ma l’economista allarga il range a tutta Italia, “uno dei Paesi più longevi del mondo” anche e soprattutto “grazie alla Dieta Mediterranea”, esprimendo rabbia per la gestione di parte del Pnrr all’indomani della pandemia da Covid-19: “avevamo un’occasione storica per ripopolare le aree interne - racconta - perché con l’esplosione dello smart working ci fu un’enorme domanda da parte della gente di andare a vivere in luoghi che avessero più qualità della vita, dove si potesse sfuggire alla congestione, allo stress, alla fatica del vivere in città”. Fondi che potevano essere sfruttati per “migliorare i trasporti e portare internet di qualità nelle campagne e nei piccoli borghi. Invece ci ritroviamo con un niente di fatto e con soldi che sono stati in gran parte sprecati facendo pure crescere il debito pubblico”.
Consapevole che “l’Italia ha un territorio con una manutenzione molto difficile”, ma che l’unica soluzione è “che la gente viva nelle aree interne, altrimenti il loro spopolamento creerà costi e disastri immensi”, l’ultima riflessione del professore è dedicata al concetto di bene comune, che è di tutti, ma che lo Stato dà in affitto per renderlo redditizio, e lo fa spesso a bassissimo prezzo così che rende tanto agli operatori che lo prendono in affitto, se si pensa alla concessioni balneari delle spiagge italiane o al suolo pubblico nelle città o nei piccoli borghi: “è un’enorme discrasia - conclude Bartolini - perché si tratta di una privatizzazione a prezzi molto bassi di un bene comune prezioso per tutti, i cui benefici diventano benefici privati. È una delle conseguenze del disastro del sistema politico italiano che non riesce a curare gli interessi di tutti ed è schiavo dei gruppi di pressione”.
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