Il “Global mutirao”, la nuova proposta di accordo presentata dalla presidenza brasiliana alla Cop30 non parla dell’abbandono di fonti fossili (la principale causa dell’inquinamento atmosferico, ndr): un termine che proprio non compare mai nel testo principale, tanto che oltre 30 Paesi partecipanti alla conferenza climatica delle Nazioni Unite di Belem, in Brasile, hanno minacciato, con una lettera - firmata da Stati europei, latinoamericani, asiatici e delle isole del Pacifico - di porre il veto sul documento, per la cui approvazione è richiesta l’unanimità. Seppur pronti a continuare a “lavorare perché la conferenza diventi un vero successo”, viene espressa, infatti, “profonda preoccupazione” per un testo che, al momento, “non presenta le minime condizioni per poter essere considerato un risultato credibile”.
E anche il Commissario Europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, ha dichiarato di essere “deluso” dalla bozza di accordo, chiosando: “siamo molto lontani dall’ambizione di cui abbiamo bisogno. È spiacevole dirlo, ma ci troviamo davvero di fronte a uno scenario di mancato accordo”. Mentre il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, presente in Brasile, ha riferito che “con molti contrasti aperti, la trattativa sta riprendendo e che la posizione italiana è quella di tenere fermi i riferimenti a Cop Dubai per quanto riguarda il percorso dalle fonti fossili e a Cop Baku per quanto riguarda il fronte finanziario”.
Insomma, la Cop30 (che in teoria si dovrebbe concludere oggi, 21 novembre, ndr) è in fase di stallo, e anche Slow Food è intervenuta per esprimere la propria insoddisfazione: “l’annunciato fallimento della Cop30 di Belem è l’ennesima occasione persa”, ha detto la presidente Slow Food Italia, Barbara Nappini, sostenendo che per fare sì che qualcosa davvero cambi rispetto alla crisi climatica sia necessario scegliere un modello diverso: di vita, di filosofia, di approccio. Che è la mission della Chiocciola che promuove il cibo “buono, pulito e giusto” attraverso la difesa della biodiversità, rimarcando la necessità di un sistema alimentare agro-ecologico, di sensibilizzazione dei consumatori e di tutela dei piccoli produttori. “Cop dopo Cop i problemi rimangono irrisolti perché a rimanere invariati sono i presupposti attorno ai quali i potenti della Terra si siedono per discutere - ha affermato - nonostante gli appelli di scienziati e studiosi, che da anni spiegano che all’origine della crisi climatica vi sono le emissioni di gas climalteranti dovute alle attività umane, nessuno mette in discussione il sistema produttivo che genera tutti questi problemi e non si vuole affrontare il problema alla radice, cioè un sistema economico basato sul consumo e sullo spreco delle risorse naturali, dominato dalla ricerca del profitto e causa di profonde ingiustizie sociali”. E ancora: “non saranno solo le innovazioni tecnologiche a salvarci, perché spetta all’essere umano scegliere modelli di sviluppo compatibili con la vita sulla Terra. Non si tratta di sacrificare il benessere, ma esattamente del contrario. Occorre mettere al centro la salute: nostra, degli altri esseri viventi e del pianeta nel suo complesso. Serve una rivoluzione gioiosa”.
Denunciando, inoltre, quanto raccontato dalla coalizione Kick Big Polluters Out (Kbpo), che riunisce oltre 450 organizzazioni ambientaliste - ovvero che alla Cop30 di Belem ci sarebbero circa 1.600 lobbisti del settore dei combustibili fossili, quasi il doppio del numero dei delegati delle 10 nazioni più vulnerabili al clima messi insieme (oltre chiaramente anche a diversi Stati produttori di combustibili fossili) - la direttrice della Chiocciola Serena Milano punta il dito contro “un sistema che non funziona”, quello alimentare: “si produce cibo a basso costo e di scarsa qualità - ha sottolineato - consumando risorse e generando spreco, l’agricoltura è sacrificata e svilita, svuotata del proprio valore, finendo per reggersi (a malapena) su contributi. Il suolo fertile, la risorsa più preziosa insieme all’acqua, è sempre più scarso, i campi si coprono di pannelli solari che invece dovrebbero essere collocati su capannoni, parcheggi, aree dismesse, il cemento e i data center idrovori colonizzano aree sempre più ampie dei nostri paesaggi. Dall’altra parte dell’Oceano la foresta amazzonica sparisce per far spazio ai campi dove coltivare soia e mais ogm per i nostri allevamenti industriali. Nel mondo, oggi, il cibo inquina e ammala, anziché sfamare e curare: colpa di sistemi alimentari dominati dalla logica dell’industria e del profitto. E allora ripartiamo dal cibo, da ciò che portiamo in tavola, scegliendo alimenti prodotti senza inquinare la terra, senza impoverire il suolo, senza sprecare acqua. Acquistiamo meno, ma meglio”.
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