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L’ANALISI

La cucina italiana sogna il riconoscimento Unesco, “ma serve una strategia per proteggerla”

A dirlo è Roberta Garibaldi, componente del Comitato Scientifico che ha preparato la candidatura: “scuole e social media siano i nuovi custodi”
CUCINA ITALIANA, ROBERTA GARIBALDI, UNESCO, Non Solo Vino
Roberta Garibaldi è presidente Aite-Associazione Italiana Turismo Enogastronomico

Come già raccontato da WineNews, domani, 10 dicembre, a Nuova Delhi si terrà la riunione del Comitato Intergovernativo dell’Unesco che deciderà l’esito della candidatura della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’umanità. Tutte le premesse sono favorevoli e l’auspicabile “buon esito” arriva in un momento cruciale per “alimentare” la diffusione della cultura della nostra cucina. Perché la tradizione rischia di “perdere colpi”. I dati più recenti, infatti, mostrano che le pratiche domestiche che, per decenni, hanno costituito l’ossatura culturale del nostro Paese stanno cambiando rapidamente. Ad affermarlo è Roberta Garibaldi, componente del Comitato Scientifico, presieduto dal professore Massimo Montanari e promosso da La Cucina Italiana e dal suo direttore Maddalena Fossati, con Fondazione Casa Artusi e Accademia Italiana della Cucina, che ha preparato il dossier per la candidatura a patrimonio Unesco (curato dal professor Luigi Petrillo, che, tra le altre cose, è direttore della Cattedra Unesco dell’Università Unitelma Sapienza di Roma, ndr).
“Nonostante oltre metà degli italiani dichiari di cucinare spesso ricette tipiche del territorio o della famiglia, la frequenza con cui vengono preparati piatti tradizionali si sta riducendo in modo significativo”, evidenzia Garibaldi, presidente Aite-Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e autrice da nove anni del Rapporto sul turismo enogastronomico. “È quindi urgente rafforzare l’educazione alimentare e la trasmissione culturale alle nuove generazioni, perché i dati evidenziati nel rapporto “La cucina italiana: evoluzione degli acquisti, cambiamento dei consumi e nuovi modelli di socialità” mettono in luce trasformazioni profonde e accelerate, che richiedono una riflessione sistemica sulle modalità con cui il patrimonio culinario viene trasmesso e praticato”.
I risultati dell’indagine evidenziano, infatti, un indebolimento delle abitudini culinarie tradizionali. Le pratiche simbolo della cultura culinaria italiana, come il pane fatto in casa, pasta fresca e pasta ripiena, sono oggi coltivate settimanalmente solo dal 6-8% del campione. Inoltre solo il 33% prepara almeno una volta alla settimana zuppe, minestre o piatti di legumi, un tempo ricette quotidiane preparate in quasi tutte le case italiane e il 30% cucina regolarmente un risotto, mentre 7 italiani su 10 non lo fanno più con cadenza settimanale. A ciò si aggiunge il fatto che il 17-18% prepara almeno una volta alla settimana dolci o piatti elaborati di carne, attività che un tempo scandivano i ritmi delle famiglie e delle comunità. Intanto, si avvicinano le festività e si torna maggiormente a cucinare, con pratiche culinarie legate all’identità e alla tradizione che rimangono sostanzialmente stabili nel tempo: resta centrale per il 56% degli intervistati la preparazione di ricette tipiche del luogo, accanto alla realizzazione di ricette tramandate dalla famiglia (56%) e di piatti tipici per i propri ospiti (49%). In questo scenario, aumenta la propensione a soluzioni rapide, come i piatti pronti o il food delivery. E l’analisi per età rivela tendenze precise: i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni cucinano meno spesso piatti complessi o che richiedono preparazioni manuali. Un target che è tra i più orientati ai piccoli negozi e ai mercati locali (41 - 45%), ma mostrano una minore continuità nella cucina domestica. Il gruppo tra i 25-44 anni è invece quello che ricorre più frequentemente al delivery (fino al 24% per i piatti pronti), segnale di stili di vita caratterizzati da tempi ridotti e preferenze per servizi convenience. Gli over 65 mantengono invece livelli più alti di cucina domestica tradizionale, il 49% frequenta mercati di produttori e il 42% piccoli negozi.
Accanto alle differenze generazionali emergono nette differenze geografiche. Nel Sud Italia e nelle Isole la prossimità resta centrale: il 50% acquista nei mercati contadini (media 37%) e 48% nelle botteghe tradizionali (media 34%), con il valore più alto anche per il commercio equo (32%). Nord Ovest e Nord Est mostrano invece una minore prossimità e una maggiore propensione al delivery (fino al 17% per spesa e piatti pronti). Il Centro si colloca su livelli intermedi. Nel complesso emerge un Mezzogiorno radicato nei canali tradizionali e un Nord più orientato a soluzioni digitali. Il quadro indica una progressiva diaspora culturale: la cucina italiana rimane amata, ma è meno praticata, soprattutto nelle generazioni più giovani, dove si afferma un nuovo paradigma alimentare alternato tra prodotti pronti, delivery e preparazioni domestiche semplificate. Viene quindi ritenuto urgente intervenire in chiave educativa, affinché l’auspicabile riconoscimento della cucina italiana come patrimonio Unesco possa costituire la base per un suo rilancio effettivo nella pratica quotidiana delle future generazioni, a tutela del patrimonio stesso e anche della salute dei consumatori, partendo dalle scuole e utilizzando i social network come luoghi di trasmissione culturale.
“Questi dati - afferma Garibaldi - rendono evidente che la candidatura Unesco deve essere accompagnata da azioni concrete di tutela attiva, con tre direzioni prioritarie”. Ad iniziare dall’introdurre stabilmente l’educazione alimentare nelle scuole. La scuola può diventare il nuovo spazio di trasmissione culturale, dove i giovani apprendono le tecniche di cucina di base, le ricette tradizionali, i valori legati alla sostenibilità e alla stagionalità, la storia dei prodotti e dei territori. È un investimento culturale necessario per garantire continuità al patrimonio gastronomico italiano. Ed ancora, portare le ricette e i saperi tradizionali nei linguaggi dei giovani. I loro canali preferiti, TikTok, Instagram, YouTube, sono oggi il luogo dove si formano gusti, stili alimentari e identità culturali. Per questo, spiega la nota, serve una strategia di comunicazione nazionale parli ai giovani con format brevi, creativi e coinvolgenti; valorizzi ricette, tecniche e prodotti italiani con contenuti autentici e narrativi e utilizzi creator e storyteller capaci di connettere la tradizione con il linguaggio contemporaneo. Infine, la trasmissione del patrimonio non può limitarsi ai luoghi tradizionali della cultura: deve abitare i luoghi digitali dove vive la nuova generazione. È inoltre importante, continua la nota, creare una media room ed un ufficio stampa internazionale dedicato alla cucina italiana per accompagnare il risultato auspicato e le diverse iniziative di promozione internazionale attive, amplificandone la portata. In conclusione, afferma Roberta Garibaldi, “la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità rappresenta un’occasione storica per riconoscerne il valore non solo culinario ma anche sociale, simbolico ed educativo. Per questo è urgente attivare una strategia nazionale che unisca educazione, comunicazione e coinvolgimento culturale, trasformando scuole e social media nei nuovi custodi della cucina italiana. Solo così la candidatura Unesco potrà tradursi in un reale processo di tutela e rigenerazione del nostro patrimonio gastronomico. Aspettiamo, dunque, l’esito del comitato intergovernativo di Nuova Delhi come riconoscimento di uno straordinario lavoro corale e come punto di partenza per un percorso culturale impegnativo ma necessario. Da parte mia, un ringraziamento speciale a Maddalena Fossati per aver dato avvio al progetto e per avermi coinvolto nel Comitato Scientifico che ha realizzato il dossier per la candidatura”.

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