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TENDENZE

Se i negozi non sono più negozi e i bar non sono più bar: al via in Italia l’era degli spazi ibridi

Cresce la domanda di luoghi polivalenti - tra socialità, smart working e consumi - che offrano atmosfera prima che prodotto
BAR, CGA by NIQ, FIPE CONFCOMMERCIO, LOCALI, SMART WORKING, spazi ibridi, TRIVÈ, Non Solo Vino
I locali non sono più semplici luoghi di consumo, ma spazi da vivere

Negli ultimi anni il panorama italiano della ristorazione, del retail e dell’ospitalità sta vivendo una trasformazione profonda e irreversibile: la crisi del modello tradizionale, dal negozio di prossimità al bar “classico”, insieme al calo delle visite registrato nel canale fuori casa, sta accelerando un cambiamento culturale: i locali non sono più semplici luoghi di consumo, ma spazi da vivere, attraversare e interpretare nelle più diverse occasioni della giornata. I dati confermano la trasformazione: in 10 anni in Italia hanno chiuso oltre 100.000 negozi e 21.000 bar, mentre cresce la domanda di luoghi polivalenti capaci di offrire socialità, lavoro leggero, eventi e atmosfere da vivere.
Per Confcommercio, negli ultimi 10 anni in Italia hanno chiuso oltre 100.000 negozi, con una perdita media di 27 attività al giorno nel periodo post-pandemico. Nello stesso arco temporale, Fipe conferma che più di 21.000 bar hanno cessato l’attività. Un indicatore evidente che il modello monofunzionale non è più sufficiente. Mentre diminuisce il consumo “funzionale”, cresce il desiderio di esperienze. Le persone cercano spazi capaci di accompagnare momenti eterogenei: lavoro informale, pause lente, incontri, presentazioni, micro-eventi e attività culturali.
Secondo il Retail Transformation Report 2025, il 68% degli italiani preferisce locali che offrano più funzioni oltre alla vendita. E il Rapporto On Premise 2025 di Cga by Niq evidenzia come il fuori casa registri una diminuzione delle visite (-1,6%) ma un aumento del valore medio per singola uscita, segno che si esce meno, ma si esce meglio. Nasce così una nuova categoria di luoghi ibridi, che si collocano a metà strada tra bar, caffè, concept store, co-working leggero e spazio culturale.
Questo cambio di prospettiva non riguarda solo il mondo del bar, ma tocca l’intero comparto retail. Ad esempio, sempre più boutique, negozi di moda, atelier e librerie stanno evolvendo verso ruoli più fluidi: presentazioni di libri, talk, mini-concerti, esposizioni temporanee. La fisicità degli spazi torna ad avere un valore strategico, non come punto vendita ma come punto di relazione. Le persone cercano luoghi in cui fermarsi, incontrarsi, lavorare, scoprire e condividere, che offrano atmosfera prima ancora che prodotto.
In un mercato in cui l’e-commerce cresce del 13% annuo, secondo Netcomm) ciò che porta le persone fuori casa non è ciò che possono comprare, ma ciò che possono vivere. Nel settore del food & beverage questa trasformazione è particolarmente evidente: emergono format capaci di ampliare la tradizionale idea di bar, rendendola più vicina alla sensibilità contemporanea.
Un esempio di questa tendenza è Trivè, realtà nata a Torino e oggi presente anche a Milano: non un locale monotematico, ma un all day bar progettato per cambiare pelle nel corso della giornata, accogliendo clienti che spesso non arrivano per un motivo specifico, ma per la possibilità di utilizzare lo spazio secondo la propria esigenza del momento. Non si tratta di un caso isolato, ma di una rappresentazione concreta di ciò che sta accadendo in molte città italiane: l’evoluzione spontanea di un luogo tradizionale verso un format più versatile, più vicino alle abitudini di consumo emergenti e più adatto a sostenere un mercato in cui la semplice vendita di caffè o aperitivi non è più sufficiente. “I dati ci dicono chiaramente che non siamo davanti a una moda passeggera, ma a una trasformazione culturale profonda. Il modello tradizionale del locale mostra una fragilità evidente e ampliare gli usi dello spazio non è più un’opzione: è una necessità. L’Italia, che è sempre stata la culla del bar di quartiere e del negozio sotto casa, oggi sta vivendo un’evoluzione che la avvicina alle grandi città europee come Londra, Berlino o Copenaghen, dove i locali sono veri hub di comunità e non semplici contenitori commerciali. Non si va più ‘solo’ al bar o ‘solo’ a fare acquisti: si cercano luoghi in cui vivere del tempo, non semplicemente consumare.” spiega Ivan Daniele, fondatore di Trivé.
La trasformazione degli spazi fisici in luoghi ibridi non è un’operazione estetica né una tendenza temporanea: è la risposta a un insieme di forze economiche e sociali.
Il calo delle visite nei locali tradizionali, la crescita dello shopping digitale, la necessità di diversificare le fonti di ricavo e il desiderio delle persone di vivere la città in modi nuovi convergono verso un’unica direzione: si cercano luoghi che offrano tempo, non solo merce; esperienza, non solo servizio; identità, non solo prodotto.

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