Il combinato disposto del rallentamento dell’economia e della pandemia di Covid-19 si è abbattuto come una clava sui consumi enoici in Cina, dove, come WineNews ha raccontato ieri (qui), le vendite di vino sono crollate di oltre il 30% nei primi sei mesi dell’anno. Al di là dell’aspetto economico e statistico, però, questa crisi potrebbe finire per accelerare quei trend ancora sotto la cenere, destinati a mutare, nei prossimi dieci anni, il panorama dei consumi enoici in Cina. Dove troveranno sempre più spazio quelle che oggi sono ancora delle nicchie, come i vini biologici ed i vini bianchi, ancora marginali sul mercato e sulle carte dei vini dei locali cinesi. Si apriranno, così, opportunità nuove, specie sul canale online, con i consumi che si faranno meno volatili e meno dipendenti, allo stesso tempo, dalle bottiglie di fascia alta.
A partire proprio dai bianchi, che comunque hanno un loro spazio - di tutto rispetto - nelle enoteche di Pechino, come emerge dallo studio della società di analisi Mibd. Che sottolinea come, tra i territori più rappresentati sugli scaffali, ci sia il Moscato d’Asti, unica denominazione italiana, presente nel 40% dei punti vendita, ai piedi di un podio su cui salgono, invece, Central Valley (Cile, 57%), Bordeaux (47%) e Marlborough (Nuova Zelanda, 43%). Dietro al bianco piemontese, gli Chardonnay della Borgogna (37%), la California (37%), i bianchi dell’Australia Sudorientale (37%), Mendoza (33%), Pfalz (33%) e Rheinhessen (33%). Per quanto riguarda i brand più presenti, non c’è traccia di etichette italiane, con un podio tutto australiano: Penfolds (20%), Casella Family Brands (13%) e De Bortoli Wines (13%).
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