La gravità della situazione di mercato del settore suinicolo rende non più rinviabile - a parere Confagricoltura - una sostanziale revisione del decreto 21 settembre 2005 (il cosiddetto “decreto salumi”) sulla disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti di salumeria. Per Confagricoltura il decreto salumi non assicura la trasparenza del mercato, non protegge ne informa adeguatamente il consumatore sulla tipologia di prodotto che acquista.
Consentendo l’utilizzo delle denominazioni “prosciutto cotto”, ”prosciutto crudo stagionato” e “salame” solo in relazione alla composizione del prodotto, il decreto permette nei fatti che vengano accumunati prodotti, per lavorazioni tra di loro profondamente distanti e contrastanti non solo per l’origine ma anche e soprattutto per la qualità della materia prima utilizzata.
E’ dunque praticamente impossibile per il consumatore italiano conoscere se il prodotto offerto è di alta o solo onesta qualità mercantile. Da ciò la sollecitazione di Confagricoltura ad una sostanziale modifica della normativa, spiegando anche attraverso un appropriato utilizzo delle definizioni commerciali, la differenza che intercorre tra: un prosciutto crudo di qualità ed una coscia piccola, magra e salata; un prosciutto cotto di qualità ed uno di qualità inferiore perché ottenuto da un taglio immaturo; un salame prodotto con carni scelte ed uno realizzato con carni fresche. Questo a tutela della qualità della produzione italiana e per una reale trasparenza e corretta informazione del consumatore.
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