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Dallo slang ai big data: partendo dal colloquiale “It’s wine o’ clock” una giornalista di Forbes e il Ceo di Hello Vino hanno raccolto e analizzato orari, frequenza e posizione dei consumatori. Con implicazioni interessanti per il marketing del vino

È passato quasi un anno da quando l’Oxford Dictionary ha sdoganato definitivamente l’espressione “It’s wine o’ clock”, con la quale si indica la parte della giornata in cui la fase lavorativa si è conclusa e ci si può rilassare con un bicchiere di vino. Notizia curiosa, e dalla quale una giornalista finanziaria di Forbes, Cathy Huyghe, ha saputo trarre l’ispirazione necessaria per una potenziale evoluzione del marketing enoico, come riportato da “Meininger’s Wine Business Journal” (www.meininger.de).
Huyghe si è chiesta se fosse possibile applicare l’analisi di grossi insiemi di dati (i “big data”) al consumo di vino. In sostanza, se è diventata comune l’espressione che indica una fase del giorno nella quale è più comune consumare vino, è possibile affinare l’analisi di questa e altre abitudini di consumo, magari per fasce di età, prezzo del prodotto, locazione geografica e così via? La giornalista ha quindi contattato Rick Breslin, cofondatore e Ceo di Hello Vino - un’app simile al benchmark Vivino - per accedere alle informazioni raccolte dai circa due milioni di utenti della sua applicazione.
I due si sono posti una domanda, ovvero, “Quand’è che i consumatori statunitensi bevono vino?”, e la risposta fornita dai dati ha permesso loro di creare una rappresentazione grafica - una “mappa di calore” - che non è stata avara di sorprese. Collettivamente, gli americani si approcciano al vino alle 16:45, con l’interesse che cresce progressivamente tra le 18 e le 18:45, per poi scemare alle 21. Inoltre, l’ora di pranzo nei giorni festivi non è un orario di picco, e in California gli orari di picco sono più brevi che sulla costa Est. E questo, sottolineano i due, non è che l’inizio: al variare dei dati analizzati, e della loro rappresentazione, è infatti possibile profilare con precisione non solo gli orari di consumo, ma una miriade di altre variabili, con ovvie conseguenze per attività di marketing e promozionali.
Come ha sottolineato Huyghe, “utilizzando i dati delle vendite lampo, è possibile identificare le preferenze in termini di prezzo dei consumatori di una data area geografica, così come tramite l’analisi dei dati delle app, delle email e degli Sms è possibile sapere quali tipologie di consumatori sono interessati a quali sconti”. Per non parlare della possibilità di sapere quale tipo di cibi i consumatori preferiscono abbinare alle tipologie di vino acquistate, e così via.
Sulla base di quanto scoperto tramite l’analisi di questi dati, il team di Enolytics ha pubblicato un primo report, denominato per l’appunto “Wine O’Clock Report”, che pubblicheranno per sondare le acque per quanto riguarda l’interesse al riguardo delle aziende del settore vitivinicolo: a questo farà seguito un modello di analisi proprietario, che raccoglierà dati da più fonti per affinare ulteriormente i processi di analisi.
Tutto questo potrebbe davvero essere il sogno di ogni addetto al marketing del settore, e non solo; i “big data” sono già usati ampiamente dalle industrie farmaceutiche e dei media, tra le altre, e il concetto si può senz’altro applicare egregiamente anche agli enoappassionati. E se ad alcuni un processo così invasivo di profilazione del consumatore (anche se, in teoria, anonimo) potrebbe far storcere la bocca, non resta che ricordare una vecchia massima relativa a quei prodotti gratuiti il cui uso prevede esplicitamente la raccolta e l’analisi dei dati, come i social network: “Se non stai pagando il prodotto, allora il prodotto sei tu”.

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