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È #guerradelgrano. Le importazioni di grano dall’estero affossano le quotazioni del grano italiano: ce ne vogliono 5 chili di per comprare un caffè, e 1 pacco su 3 di pasta contiene grano importato. E Coldiretti torna a chiedere l’etichetta d’origine

Non Solo Vino

Cosa ci fanno un migliaio di trattori al porto di Bari? Sembra l’inizio di una storia surreale, e invece è la realtà. Si tratta di una delle più importanti manifestazioni di agricoltori degli ultimi tempi, per strada contro l’importazione di grano canadese. Proprio a Bari era previsto per questa mattina l’arrivo di una nave da Vancouver, carica di 50.000 tonnellate di grano, da spacciare poi per italiano, non essendoci ancora l’obbligo di segnalarne la provenienza sulle etichette della pasta. È la #guerradelgrano, dichiarata dalla Coldiretti, che sottolinea i rischi che comporta una così massiccia importazione di frumento straniero. La speculazione sul grano, infatti, mette in pericolo la vita di oltre 300.000 aziende agricole che lo coltivano, sparse su un territorio di 2 milioni di ettari che adesso sono seriamente a rischio desertificazione; ma anche gli alti livelli qualitativi per i consumatori sono in pericolo, non essendo garantiti dalla produzione made in Italy.

L’Italia, sottolinea la Coldiretti, è il principale produttore europeo e secondo mondiale di grano duro, destinato alla pasta con 5,1 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 1,4 milioni di ettari che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia, Sicilia, Marche e Basilicata. Il taglio dei prezzi pagati agli agricoltori, causato dall’importazione di grano straniero, ha provocato praticamente la decimazione delle semine di grano in Italia con un crollo del 7,3% per un totale di 100.000 ettari coltivati in meno. Si pensi che 5 chili di grano non equivalgono nemmeno al prezzo di un caffè, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%. La situazione per la coltura più diffusa in Italia è difficile, afferma la Coldiretti, sull’intero territorio nazionale con la riduzione delle semine che varia dal -11,6 % nel Nord - Est al -5,4% nel Centro, mentre nel Sud e Isole si registra un -7,4%, che desta molta preoccupazione se si considera che la coltivazione è concentrata prevalentemente nel meridione.

Sono ben 2,3 milioni le tonnellate di grano duro che sono arrivate lo scorso anno dall’estero, di cui quasi la metà proprio dal Canada (peraltro ha fatto registrare nel 2017 un ulteriore aumento del 15% secondo le analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi due mesi del 2017), con la conseguenza che 1 pacco su 3 di pasta contiene grano non italiano.
Una realtà che secondo la Coldrietti rischia di essere favorita dall’approvazione da parte dell’Europarlamento del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) con il Canada che prevede l’azzeramento strutturale dei dazi indipendentemente dagli andamenti di mercato. Ma i rischi non sono solo per gli agricoltori italiani, ma anche per i consumatori. Infatti in molti Paesi esteri sono utilizzate molte più sostanze, come pesticidi, che in Italia e spesso molte di queste nel Belpaese sono addirittura vietate. In Canada, ad esempio, viene fatto un uso intensivo del glifosate proprio nella fase di pre - raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato che è stato vietato in Italia dal 22 agosto 2016, con entrata in vigore del decreto del Ministero della Salute perché accusato di essere cancerogeno.

Tutto questo potrebbe essere risolto con l’obbligo di provenienza del grano sulle etichette della pasta, come è già per latte e formaggi: secondo la Coldiretti (sulla base della consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole) l’81 % dei consumatori italiani ritiene che la mancanza di etichettatura di origine nella pasta possa essere ingannevole.


“Con queste quotazioni non si può sopravvivere - ha denunciato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, nel sottolineare che - c’è il rischio concreto di alimentare un circolo vizioso che, se adesso provoca la delocalizzazione degli acquisti del grano, domani toccherà gli impianti industriali di produzione della pasta con la perdita di un sistema produttivo che genera ricchezza, occupazione e salvaguardia ambientale. L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero made in Italy - ha concluso Moncalvo, nel sottolineare che - in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti”.

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