La pandemia ha provocato un forte danno anche ai numeri dell’occupazione, in primis quella femminile che, nei settori della ristorazione e del turismo, ha pagato un conto salatissimo: ben 183.000 lavoratrici, infatti, sono state costrette ad abbandonare la loro attività, per rimanere a casa con i figli (costretti a seguire la scuola con la didattica a distanza) o perché, avendo contratti spesso part time o stagionali, non sono state chiamate in servizio a causa della crisi. I numeri del settore certificano che il 51,4% della forza lavoro di bar e ristoranti è composto da donne ma che solo il 28,7% dei locali è a titolarità femminile. Una percentuale che, nel 2021, è destinata ad assottigliarsi ulteriormente proprio a causa delle chiusure post pandemia.
Dati che fotografano un “gender gap” a tutti gli effetti sia tra le lavoratrici che tra le imprenditrici, tanto che il fenomeno è stato messo nel mirino del Gruppo Donne di Fipe-Confcommercio, deciso a invertire il trend, ricorrendo al supporto anche della Global Thinking Foundation, fondazione creata nel 2016 e presieduta da Claudia Segre per sostenere l’alfabetizzazione finanziaria delle fasce più deboli della società, donne comprese.
“Quello di raggiungere l’uguaglianza di genere in tutte le sue forme e manifestazioni è uno degli obiettivi di sostenibilità che si è data l’Unione europea entro il 2030 - spiega Valentina Picca Bianchi, presidente Donne Fipe/Confcommercio- per farlo è indispensabile che i corpi intermedi, come la Federazione, cessino di considerare il proprio ruolo come puramente sindacale. È necessario che si facciano carico di percorsi di empowerment, necessari a sviluppare una cultura d’impresa femminile. Anche perché una cosa è sicura: la ristorazione avrà un futuro se saprà professionalizzarsi e adottare un approccio manageriale alla filiera, al lavoro e al servizio alla clientela. E, in queste attività, è inutile negarlo, le donne hanno una marcia in più”.
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