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L’ANALISI

I dazi promessi da Trump non spaventano solo il vino europeo, ma anche il trade americano

Con tariffe del 25% molti vini rischiano di andare fuori mercato. 1 dollaro speso dagli Usa in vino europeo ne genera 4,5 di guadagno per il commercio
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I dazi promessi da Trump spaventano anche il trade e la ristorazione Usa (ph: Freepik)

Con l’elezione del Presidente Usa Donald Trump, il ritorno delle tariffe sulle importazioni dall’Europa è al centro dell’attenzione di numerosi settori, in particolare quello del vino europeo e della ristorazione. I dazi imposti nel 2019, legati alla disputa Airbus-Boeing, che imponevano un aumento del 25% su cibo, bevande e prodotti europei (tra cui il vino francese, ma non quello italiano), furono sospesi nel 2021 grazie alla tregua raggiunta dall’amministrazione Biden con l’Unione Europea. Un tema delicato, di cui osservare gli sviluppi, ovviamente. E che, se come detto più volte in questi giorni, preoccupa, giustamente, i produttori di vino europei, tiene in allarme anche gli operatori del vino americano. Anche perché, ricorda la Us Wine Trade Alliance, associazione nata proprio per opporsi ai dazi, e che rappresenta importatori, grossisti, retailer, ristoratori e non solo, grazie al “three tier system” (ovvero la catena importatore-distributore-retailer), per ogni dollaro che dagli Usa arriva nelle cantine europee, se ne generano 4,52 di guadagno per la filiera del commercio negli Stati Uniti. Dato che sottolinea ancora di più come, da eventuali nuovi dazi sul vino, tutte le parti in causa avrebbero da perdere, considerando anche il fatto che più di 1/3 di tutto il vino consumato negli States è importato, in gran parte da Paesi europei, Francia e Italia in testa.
E per i ristoranti statunitensi, soprattutto quelli di fascia alta e specializzati in cucina europea ed italiana, tra le più amate in Usa, l’aumento dei dazi renderebbe infatti più costosi i vini importati, riducendo i margini di profitto che sono già bassi a causa dell’inflazione, come sottolinea Linnea Covington, caporedattrice di “DiningOut”, una guida del settore food & beverage in Usa, per RestaurantHospitality, un’agenzia di stampa della ristorazione indipendente in America (comparto che muove oltre 800 miliardi di dollari all’anno). E che, tra le altre testimonianze, vede quella di DeWayne Schaaf, chef e proprietario di Celebrations Restaurant a Cape Girardeau, nello stato del Missouri, che sottolinea come, in primis, guardando agli abbinamenti, non sia semplice né coerente sostituire un vino italiano, francese e così via, con un altro americano. E che il problema economico sarà importante: “nella nostra carta dei vini c’è un Grüner Veltliner, un vino bianco normalmente più economico rispetto ad altri. L’attuale bottiglia da 45 dollari, in caso di dazi, dovrebbe salire a circa 60 dollari, e la maggior parte dei clienti non è disposta a pagare tale cifra per quel tipo di vino”, spiega lo chef.
In uno degli ultimi comizi prima delle elezioni, parlando da un palco della Pennsylvania, Trump, come avevamo già riportato, aveva tuonato: “vi dirò una cosa, l’Unione Europea sembra così carina, così adorabile, vero? Tutti i bei paesini europei che si uniscono. Non prendono i nostri prodotti agricoli. Vendono milioni e milioni di auto negli Stati Uniti. No, no, no, dovranno pagare un prezzo elevato”. E “con questa promessa di aggiungere ulteriori dazi sulle importazioni, vi sono buone ragioni per iniziare a pensare di dover gestire una carenza di vino europeo e un’impennata dei prezzi. Oppure va trovato un altro modo per mantenere un po’ di profitto nei ristoranti e nei bar e allo stesso tempo accontentare i commensali”, conclude Linnea Covington.

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