“Il futuro del mercato del vino è tutt’altro che rosé. Il consumo globale è in declino da quando ha raggiunto il picco nel 2007”. A scriverlo, nei giorni scorsi, è stato uno dei giornali finanziari più importanti del mondo, il “Financial Times”, dando risalto ben al di fuori dalla stampa di settore ad un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti. Lo spunto per farlo, è stata la notizia della vendita dei marchi del vino fermo (ma non degli Champagne) da parte del colosso degli spirits Pernod Ricard all’Australian Wine Holdco Limited (Awl), un consorzio di investitori istituzionali internazionali e proprietario di Accolade Wines. Una “mossa saggia”, quella di Pernod Ricard, secondo il “Financial Times” (e quindi sbagliata da parte di Accolade?), perché il “consumo globale di vino continua a diminuire”, scrive il giornale finanziario britannico. Sottolineando poi dati e trend che abbiamo raccontato più volte su WineNews, in un articolo che, peraltro, segue di poche settimane quello con immagini scioccanti del “The New York Times”, “Is That Drink Worth It to You?”, e la “risposta” sulle stesse pagine del quotidiano newyorkese a firma del wine critic Eric Asimov, “In defense of wine”.
“Il consumo globale di vino è in declino da quando ha raggiunto il picco di circa 25 miliardi di litri nel 2007. L’anno scorso la cifra è scesa a circa 22,1 miliardi di litri - ricorda il “Financial Times” - secondo l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv). I bevitori più giovani preferiscono cocktail o liquori. Negli ultimi anni, i prezzi del vino sono aumentati poiché i produttori hanno trasferito sulle bottiglie i costi più elevati. Ma il consumo di alcol sta diminuendo man mano che i consumatori diventano più attenti alla salute. Il risultato è che la produzione globale di vino nel 2023 è stata superiore del 7% rispetto al consumo. Il volume dovrebbe diminuire in media dell’1% all’anno fino al 2028, secondo il gruppo di ricerca sulle bevande Iwsr. E non ci si aspetta alcuna crescita nemmeno dall’aumento dei prezzi, anche se alcune parti del mercato, come il rosé, sono più resilienti”, scrive ancora il “Financial Times”. Un piccolo segnale che il racconto di un mercato che sta cambiando profondamente inizia a farsi spazio anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.
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