Un mercato che tira e che in fondo non si è mai fermato, visto che le vendite di Chianti Classico in questi primi 8 mesi del 2021 sono sopra del 20% al 2020 ma anche del 9% sul 2019, una qualità diffusa dei vini della denominazione universalmente riconosciuta, per un territorio tra i più belli ed intatti del mondo, quello delle colline racchiuse tra la Siena del Medioevo e la Firenze del Rinascimento, che dopo aver praticamente concluso il percorso per le Menzioni Geografiche Aggiuntive (Castellina, Castelnuovo Berardenga, Gaiole, Greve, Lamole, Montefioralle, Panzano, Radda, San Casciano, San Donato in Poggio, comprensivo dei territori di Barberino Tavarnelle e di Poggibonsi, e Vagliagli), ed aver rafforzato ancora di più il valore della Gran Selezione, vertice qualitativo della denominazione (la percentuale di Sangiovese minima passa dall’80% al 90%, ed il restante 10% sarà fatto solo di vitigni autoctoni a bacca rossa del territorio), ora punta a due grandi obiettivi: il riconoscimento Unesco per il territorio, ed un nuovo grande progetto di ricerca agronomica e viticola come è stato in passato “Chianti Classico 2000”, determinate per la riscossa del Gallo Nero, con il target dichiarato di migliorare ancora di più la qualità e l’espressività della territorialità dei vini del Chianti Classico, ma anche di governare al meglio il cambiamento climatico. C’è tutto questo nel programma di Giovanni Manetti, produttore con la storica Fontodi, Cavaliere del Lavoro e appena riconfermato alla presidenza del Consorzio del Chianti Classico.
“È un impegno che tanti colleghi mi hanno chiesto - spiega Giovanni Manetti a WineNews - e visto con quale unità abbiamo affrontato i progetti e gli anni passati, ho deciso di accettare con orgoglio e fiducia nel futuro. Solo uniti si vince. Il territorio ha tenuto bene alla crisi pandemica, ce lo dicono i numeri del mercato aggiornati proprio a questi giorni, e anche il turismo nel territorio è ripartito. E anche se mancano ancora gli americani e gli asiatici, le cose sono andate e stanno andando molto bene con italiani ed europei, e questo è anche un importante elemento di riflessione per il futuro. Come lo è la ricerca e la sperimentazione. Il progetto “Chianti Classico 2000”, avviato nel 1990 e concluso 10 anni dopo, ha veramente contribuito ad un miglioramento qualitativo e diffuso nel nostro territorio, ma adesso lo scenario è cambiato, il climate change lo tocchiamo con mano ogni giorno, con eventi metereologici sempre più intensi e distribuiti in maniera diversa nell’anno, temperature mediamente più alte, e quindi dovremo adattare il vigneto chiantigiano a questo scenario. Quindi, secondo me e secondo il cda del Condorzio, è necessario far partire un progetto di ricerca su metodi di coltivazioni, cloni o portinnesti o metodi di gestione del vigneto che possano mitigare gli effetti del cambiamento climatico. E fare partire questo studio nel prossimo triennio è uno dei grandi obiettivi”.
Intanto, il presente vuol dire attesa per una vendemmia sempre più vicina. “Le uve al momento sono bellissime, hanno un potenziale qualitativo altissimo, e questa estate asciutta e poco piovose ha tenuto lontane le malattie, oidio e peronospora non si sono viste. La nota dolente è un po’ sulla quantità, sarà una vendemmia un po’ più scarsa, intorno al -15%, sulla media delle ultime annate, più o meno come nel 2020, anche se finchè l’uva non è in cantina le stime lasciano il tempo che trovano, dipende come sempre dai prossimi giorni. Però, nelle ultime settimane, c’è stata una grande escursione termica tra giorno e notte, e questo ha fatto si che il profilo aromatico ne abbia risentito molto positivamente, assaggiando i chicchi in vigna si sentono uve molto succose e saporite, con grandi aromi, e quindi stiamo a dita incrociate e staremo a vedere, ma c’è grande aspettativa anche per questa annata”.
Parole di un Giovanni Manetti riconfermato alla guida del Consorzio del Chianti Classico, dunque, così come i vice-presidenti Francesco Colpizzi (Castelli del Grevepesa) e Sergio Zingarelli (Rocca delle Macìe), a tutela di un territorio dove il vino muove un giro d’affari di 800 milioni di euro (con un valore della produzione di oltre 500 milioni).
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