“È difficile dare la misura degli effetti dell’attuale momento economico sui consumi, ma il potere d’acquisto delle persone dovrà presto confrontarsi con l’aumento dell’inflazione, del costo dell’energia e del costo della vita, oltre che ad una probabile crescita della disoccupazione. Cosa vuol dire per il vino ? Avere meno soldi da spendere vuol dire doversi dare delle priorità, ed il vino è ancora considerato un lusso - seppure quotidiano - specie a tavola. Quello che succederà è che il consumatore guarderà per forza di cose a bottiglie meno costose, con un probabile calo dei profitti per il mercato del vino. L’altro problema che vedo è l’impatto sul vino venduto nella ristorazione, uno dei primi settori su cui la gente taglierà le spese. Bere fuori casa, in Gran Bretagna, è costoso, per cui immagino un quadro simile a quello visto durante la pandemia: i consumi di vino ed altri alcolici si sposteranno di nuovo tra le mura di casa, e la gente uscirà meno. Questo vuol dire che torneranno a crescere le vendite di vino allo scaffale (retail e Gdo), così come sugli e-commerce”. A provare a capire dove andrà, nei prossimi mesi, il mercato del vino britannico, è Patrick Schmitt, Master of Wine e “The Drinks Business” editor-in-chief, intervistato da WineNews dalla tappa londinese del Simply Italian Great Wine by Iem (di Marina Nedic e Giancarlo Voglino). Un quadro complesso, a tinte fosche, che il vino italiano dovrà imparare ad affrontare.
“Nel caso dei tanti vini italiani che godono di un grande successo sulle tavole dei ristoranti, immagino che ci possa essere una certa preoccupazione. Se guardiamo invece alla grande distribuzione, l’offerta è generalmente più limitata, specie rispetto ai distributori specializzati e all’offerta che troviamo sugli e-commerce, c’è meno scelta, anche perché troviamo un’offerta che abbraccia vini da tutto il mondo, con l’Italia che rappresenta solo una piccola parte. Sul canale retail è diverso, i vini italiani sono - continua Patrick Schmitt - estremamente popolari, e poi gli inglesi amano l’Italia e la sua cultura, e sono finalmente tornati a viaggiare nel Belpaese. Siamo tra i più grandi consumatori al mondo di due produzioni simbolo come Pinot Grigio e Prosecco. Sono due tipologie in grado di superare indenni questo momento, ma non le uniche. Penso ai rosé, un segmento dominato dalla Provenza, i cui prezzi, con l’aumento della domanda dagli Usa, stanno ormai crescendo vertiginosamente, superando le 20 sterline a bottiglia. E poi il Chianti Classico, certo non una novità, ma un vino che regala sempre grandi certezze tra i consumatori britannici”.
Un altro aspetto, da non sottovalutare, sono i punti di forza dei competitor dell’Italia in Uk, perché “la competizione non è solo con la Francia, ma anche con la Spagna, almeno nel segmento dei rossi. Hanno fatto un lavoro incredibile con i Rioja, che hanno un posizionamento ottimo ovunque, dai pub ai ristoranti passando per gli scaffali dei supermercati, inserendosi tra Bordeaux e Chianti Classico. L’Australia è sempre stata forte sul mercato Uk, storicamente è il nostro primo fornitore, non si parla di grandi vini, ma di produzioni dal grande rapporto qualità/prezzo, specie con i Syrah. Con i problemi che hanno avuto con la Cina, e avendo dalla loro un trattato di libero scambio con la Gran Bretagna, hanno la possibilità di crescere, ma il nostro, nella categoria degli entry level, è comunque un mercato saturo e molto competitivo. La crescita, da anni, avviene solo in termini di valore, sulla spinta dei vini di qualità e dei fine wine: non è un caso che Londra sia il principale hub internazionale per il mercato dei fine wine. In termini di volumi, invece, il lento declino dei consumi era iniziato ben prima di questa congiuntura economica”, conclude l’editor-in-chief di “The Drinks Business”.
Se il presente è difficile, il futuro è ancora tutto da scrivere, ed è importante farlo con un certo ottimismo, perché, come ricorda la Master of Wine Patricia Stefanowicz, “c’è un grande futuro per i vini italiani in Gran Bretagna. Sono food friendly, e ci sono un gran numero di tipologie. In rampa di lancio, vedo la Sicilia, e non solo l’Etna, che al momento è in primissimo piano, ci sono tanti Nero d’Avola deliziosi, ad esempio. E poi c’è il Chianti, che la gente continua ad amare, anche per il suo prezzo accessibile, ma anche la Vernaccia di San Gimignano, un altro vino magnifico. C’è ancora spazio per il Pinot Grigio, specie del Trentino Alto Adige, così come per le bollicine di Trentodoc e Franciacorta, che sono meno costosi dello Champagne, pur conservandone l’eleganza. E ancora, i rossi del Piemonte come il Dolcetto, la Barbera, il Nebbiolo delle Langhe. Il segmento che va dalle 9 alle 15 sterline a bottiglia allo scaffale è quello più importante, e l’Italia ha tutto per essere competitiva in qualsiasi tipologia, dai bianchi, con il Grechetto, il Fiano e tanti altri, ai rossi, con il Primitivo, che la gente conosce ed apprezza, bevendo da decenni gli stessi vini prodotti in California. Un altro aspetto importante, come detto, è che sono vini che stanno bene a tavola, non necessariamente con piatti italiani, ma con qualsiasi tipo di cucina”.
Visto da chi il vino deve venderlo, il mercato della Gran Bretagna ha tante sfumature diverse, perché posizionare un grande vino rosso toscano o un metodo classico fa tutta la differenza del mondo. Nel caso di una griffe di riferimento della Franciacorta come Ca’ del Bosco, “il mercato inglese è qualificante e posizionante, è stato capace negli anni di dare grande valore a ciò che importa. Non abbiamo la necessità di vendere ovunque, l’obiettivo è quello di aggiungere valore, per cui cerchiamo di premiare chi ci premia, ed in questo la Gran Bretagna è fondamentale, soprattutto nell’on trade e nella ristorazione di livello, non necessariamente gli stellati”, spiega Luca Cinacchi, Key Account Manager Europe Ca’ del Bosco. Tamara Maccherini, direttore commerciale Tasca d’Almerita, spiega che “il mercato britannico è un punto di riferimento, e negli ultimi 25 anni di cose ne sono successe, pensiamo alla Brexit. Al di là dei numeri, in questo momento c’è qualche timore per il futuro. È per noi un mercato essenzialmente on trade, che finora ha tenuto botta, continuando nel suo percorso di premiumizzazione dei consumi: nel nostro caso, ad esempio, c’è maggiore attenzione per l’Etna. L’inflazione fa paura, e rischia di portare ad un calo dei volumi importati, ma a valore prevediamo una crescita costante”. Come racconta Emanuele Barrasso, brand ambassador Antinori Uk, “il vino italiano nell’on trade riveste un ruolo fondamentale, specie nella ristorazione. Dopo il covid ed i lockdown la gente è voluta tornare alle proprie abitudini, portando ad un vero e proprio Risorgimento, continuato anche nel 2022. Per la Marchesi Antinori l’Inghilterra è un mercato fondamentale, l’ambizione è quella di crescere ancora con tutte le 16 tenute italiane del gruppo, raccontandone la storia vino per vino, partendo dalle etichette di Villa Antinori, le più diffuse nella Gdo, e poi ovviamente le grandi etichette come Tignanello, Solaia ed il Brunello di Montalcino Pian delle Vigne, ma anche i Chianti Classico di Badia a Passignano, che speriamo in futuro possano fare ancora meglio”. Infine, il punto di vista di Peter Ferguson, che, in Gran Bretagna, è il punto di riferimento della Famiglia Frescobaldi, specie per le produzioni di Tenuta Luce e della friulana Attems: “il mercato sta vivendo un momento molto complicato, in Uk come ovunque nel mondo. A pagarne le conseguenze sarà prima di tutto la ristorazione, ma la gente ha comunque voglia di godere dei propri vini preferiti, e questo vuol dire tornare a rivolgersi al retail, come abbiamo visto durante la pandemia, quando in fin dei conti i consumi di alcolici non hanno subito alcun declino. Il problema principale riguarda il costo dell’energia, che fa volare l’inflazione in tutta Europa, mentre i salari restano fermi e allora bisogna fare delle scelte. In certe aree di consumo vedremo dei cali importanti, e mi riferisco alle produzioni di basso prezzo, mentre i vini di qualità sapranno difendersi: la tendenza è sempre quella di bere meno, ma meglio, per questo alla fine mi sento ottimista”.
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