Per una denominazione che sfiora il mezzo miliardo di bottiglie prodotte, e commercializzate, ogni anno, è difficile, per non dire impossibile, restare impassibili alle richieste e alle possibilità offerte dal mercato. E allora, il boom dei consumi dei vini rosati, che come un’onda è montato dagli Stati Uniti per travolgere poi il mondo intero, ha finito per allungarsi fino ai filari del Prosecco Doc - 11.460 viticoltori, 1.192 aziende vinificatrici, 347 case spumantistiche - che hanno deciso di cavalcarla. Con il via libera dell’Unione Europea alla versione rosé, arrivato a fine ottobre 2020, sugli scaffali, nei locali e nei ristoranti, sono arrivate le prime 20 milioni di bottiglie, iniziatrici di un successo annunciato, ma che nel “sistema Prosecco” non convince tutti. Questione di punti di vista, necessità ed obiettivi diversi, ma anche approcci, in seno ai Consorzi, differenti.
Così, se il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, alla cui presidenza è stata eletta Elvira Bortolomiol, produttrice della storica cantina di Valdobbiadene, non ha neanche preso in considerazione l’idea di una nuova tipologia rosé per le proprie bollicine, indicando invece nella qualità, e quindi nel prezzo medio delle 90-92 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, la strada per la crescita futura, nel territorio dell’Asolo Prosecco Docg la questione è stata divisiva, “ma parlare di spaccatura è un’esagerazione, non c’è nessuna guerra ideologica, solo due modi diversi di vedere le cose”, spiega a WineNews l’enologo Franco Dalla Rosa, portavoce delle aziende contrarie. Da un lato, i 2/3 dei produttori che hanno deciso di opporsi all’introduzione della categoria “Asolo Prosecco Rosè” nel disciplinare della Docg Asolo, votata dal Consorzio Asolo Montello in Assemblea il 30 giugno, dall’altro però il peso ponderale di chi, pur in rappresentanza di un minor numero di aziende, ma di un maggior numero di bottiglie prodotte, ha invece votato a favore, sancendo di fatto una svolta epocale nella più piccola (17 milioni di bottiglie prodotte) delle realtà del “sistema Prosecco”.
“Da una parte c’è un’opportunità commerciale che si aprirebbe, anche se non ne sono convinto, con il rosé, sostenuta dai grossi produttori, dall’altra parte c’è la maggioranza dell’Assemblea che ricorda come il rosé è una tipologia che non ha mai fatto parte del nostro territorio, qualcosa da inventare. Noi pensiamo che quando si ha un territorio bello come il nostro, con una storia da difendere ed un’immagine da coltivare, creare qualcosa di nuovo sol per motivi commerciali non è un’opzione che sta in piedi. Noi dobbiamo vendere la bellezza, la storia e la cultura che rappresentiamo, sono queste le nostre armi, che ci hanno messo a disposizione decenni di lavoro, quando andiamo a vendere il nostro prodotto nel mondo”, spiega Franco Dalla Rosa.
“Perché andare a fare qualcosa che tradizionalmente non esiste, e che avrebbe bisogno di nuovi impianti di Pinot Nero, che qui sono praticamente inesistenti?”, riprende l’enologo. “Nell’immediato, capisco l’occasione commerciale, ma dobbiamo guardare più in là. La riforma è stata votata con i voti delle aziende più grandi, ma numericamente quelli che hanno detto di no sono in maggioranza, tra cui, solo per fare qualche nome, ci sono Montelvini e Dal Bello, che hanno un peso specifico importante, e poi Bele Casel, Martignago Vignaioli e Giusti Wine, che ha dimostrato, arrivando dal Canada, un attaccamento ed un rispetto per questa terra straordinario. Ci vorrà una modifica del disciplinare, e l’iter non è così scontato, né a livello regionale,né nazionale, né comunitario, sono convinto che abbiamo ancora voce in capitolo. Si confonde la modernità con la predisposizione al facile guadagno”, chiosa Franco Dalla Rosa, portavoce delle aziende contrarie alla versione rosé dell’Asolo Prosecco.
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