L’utilizzo dei raspi durante la fermentazione delle uve a bacca nera, è una pratica ben conosciuta nella storia della produzione vinicola, caduta però sempre più in disuso, preferendo la diraspatura, ossia la separazione degli acini dai raspi. Ci sono sempre state, però, sacche di resistenza, che hanno riportato in auge, negli ultimi tempi, l’utilizzo dei raspi, soprattutto in Francia. Non mancano esempi anche in Italia, specie nei terroir del Barolo e del Barbaresco e nelle annate in cui i raspi hanno raggiunto maturità particolarmente elevate.
Ma che benefici, e che difetti, porta al prodotto finale? Se ben utilizzati, possono portare ad un interessante arricchimento aromatico, specie sulle note speziate ed alcoliche, mentre un uso eccessivo, o comunque smodato, non è affatto consigliato, perché porta sentori erbacei piuttosto spiacevoli. Tutto merito, o colpa evidentemente, dei tannini: quando i raspi sono maturi l’apporto tannico (molto elevato nei raspi) nel prodotto finale, ossia nel vino, sarà elegante, altrimenti, come detto, i tannini saranno responsabili di un gusto verde ed amarognolo.
Per capirne di più, “Wine Searcher” (www.wine-searcher.com) ha chiesto ai produttori di tutto il mondo, come Jeremy Seysses, proprietario, in Borgogna, di Domaine Dujac, che usa i raspi per apportare ai propri vini aromi di mentolo e gelsomino. Ma non è solo una questione di sapore: grazie ai tannini, i raspi possono influire anche sulla struttura stessa del vino: per Matt Stafford, enologo a Craggy Range, in Nuova Zelanda, ad esempio, i raspi sono utili per allungare la struttura, e dare sapidità, invece che dolcezza, al finale dei tannini. Secondo Gavin Monery della cantina urbana London Cru, però, l’aggiunta dei raspi in fermentazione non equivale necessariamente ad una trama più dura, anzi. I raspi, infatti, contengono potassio, che abbassa la l’acidità del vino, e questo spiega la percezione alterata della sensazione tannica.
Il modo migliore di usarli è facendo partire la fermentazione con i grappoli interi, non diraspati: è il modo migliore per beneficiare dell’influenza positiva dei raspi in vasca. Così, una prima macerazione carbonica avviene già con gli acini ancora interi: si tratta di una fermentazione intracellulare, che dalle bucce estrae molto colore e pochissimi tannini. Ovviamente, ogni viticultore declina in maniera diversa l’utilizzo del raspo, così, ad esempio, c’è il Barolo Monvigliero del Castello di Verduno, che usa il 100% di grappoli interi di Nebbiolo, cui fa da contraltare Henri Jayer, in Borgogna, che utilizza una percentuale del 30-40% di grappoli interi nei propri Shiraz.
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