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IL RITORNO DELLA “FATA VERDE”: L’ASSENZIO SPOPOLA TRA I MODAIOLI, E ANCHE FRANCESCO GUCCINI BRINDA CON IL LIQUORE CARO A BAUDELAIRE

L’assenzio, liquore caro ai poeti “maledetti” dell’Ottocento, sta vivendo un grande revival: sull’onda di una moda lanciata da una distilleria di Praga, la “fata verde” (così era chiamato l’assenzio, per via del suo colore) impazza in tutto il mondo. L’ultimo personaggio che ha pubblicamente dichiarato il suo amore per l’assenzio è Francesco Guccini. Il grande cantautore e scrittore bolognese, che ha concluso nei giorni scorsi la sua tournée italiana al Paladozza di Bologna, ha brindato al successo del suo nuovo album con un bicchiere di Assenzio Versinthe.
Guccini lo ha apprezzato secondo il magico rituale della Parigi di Baudelaire e di Van Gogh: su un bicchiere, contenente un dito di Versinthe, ha posto l’apposito cucchiaino traforato, sul cucchiaino ha appoggiato una zolletta di zucchero, sulla zolletta ha versato lentamente acqua fresca (dalla tipica “fontana” da tavolo in vetro). L’acqua ha sciolto la zolletta di zucchero e il tutto è andato ad allungare, e ad addolcire, l’Assenzio Versinthe (distribuito in esclusiva per l’Italia dalla Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna) sul fondo del bicchiere.
La “fata verde” ha dunque bagnato le fortune dell’ultimo disco di Francesco Guccini, intitolato “Ritratti”. Di ritratti Guccini ne ha disegnati tanti nella sua carriera di cantautore. I personaggi delle sue canzoni, dai contorni perfettamente delineati, prendono vita e - passando attraverso la parola e il suono - si fissano in immagini consegnate all’epica. Le canzoni diventano così quadri emozionanti di uomini entrati, per volontà o loro malgrado, nella storia. Sono Ulisse, simbolo del coraggio e dell’incoscienza, Che Guevara, Cristoforo Colombo e Carlo Giuliani. In un brano dell’album Guccini ha confessato di essere affascinato dal mistero della vita, anzi delle vite, di quelle di tutte le persone che ci stanno attorno, che grazie ai loro ricordi contribuiscono a dare un significato all’esistenza stessa. Perché in fondo siamo soltanto “gli attori ingenui su una scena di un palcoscenico misterioso e immenso”.

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