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IL VELINO

Mettere sullo stesso piano l’alcol e la droga? Gli eno-appassionati italiani non ci stanno: per il 90% degli amanti del buon bere le due sostanze non possono essere assolutamente paragonate. Semmai, secondo l’83%, è arrivato il momento che il vino prenda le distanze dal mondo degli alcolici in generale, per evitare di essere messo sullo stesso piano di cocktail o alcolpops, utilizzati dai giovani come mezzo per “sballarsi”. Indispensabile allora, per il 92% degli eno-appassionati, che istituzioni e produttori realizzino campagne di educazione e sensibilizzazione per educare al consumo consapevole di vino, avendo come target tutta la società nel suo insieme, con un’attenzione particolare per scuole e giovani. Gli strumenti per educare e coinvolgere possono essere molti, dalla Pubblicità Progresso ai corsi gratuiti di degustazione aperti a tutti, passando per la comunicazione attraverso Facebook e Twitter. Questi i risultati del sondaggio realizzato da www.Winenews.it e Vinitaly, appuntamento enologico di livello internazionale. Il tema, particolarmente delicato e controverso, nasce in seguito alla pubblicazione sul settimanale inglese Lancet - considerato tra le cinque più importanti e prestigiose riviste mediche internazionali - di una ricerca secondo la quale l’alcol sarebbe più pericoloso di droghe come cocaina ed eroina. Lo studio è firmato dal professor David Nutt, ex capo della commissione governativa sulle droghe, licenziato nell’ottobre del 2009. Nutt ha rifiutato di abbandonare le sue ricerche quando è stato silurato, ed ha messo su un proprio Comitato scientifico indipendente sulle droghe. Le sue affermazioni hanno scatenato numerose polemiche in Italia e nel resto del mondo: secondo molti scienziati l’articolo lancia una pesante accusa senza però specificare quali tipologie di alcolici e soprattutto le dosi. L’alcol non e’ paragonabile alla droga: lo sostiene il 90% degli enonauti (appassionati di vino & web che hanno risposto al sondaggio di Winenews, per un totale di 2.436 persone). Una tesi condivisa anche da Andrea Muccioli della Comunità di San Patrignano: “L’alcol non è paragonabile ad una qualsiasi altra droga. Sostanze illecite, come ecstasy, cocaina, marijuana, hanno una sola possibilità di utilizzo, quasi obbligata, la ricerca dello “sballo”, dell’alterazione della propria percezione di se’ e della realtà. L’alcol, al contrario, offre una doppia possibilità di fruizione, la ricerca sobria e misurata del piacere per un buon bicchiere di vino, o l’abuso, che porta a problemi reali come l’alcolismo giovanile”. Tra chi ha risposto al sondaggio c’è invece chi (10%) ritiene che il vino sia effettivamente uguale alla droga, se non peggio, in quanto di più semplice reperibilità, di costo minore e di alto potenziale distruttivo per il corpo (fegato e non solo). Ciò che lo accomuna alla droga è soprattutto l’atteggiamento di abuso di chi lo beve, ovvero le dinamiche che portano ad un uso incosciente e smodato di una sostanza con il preciso obiettivo della ricerca dello sballo. Secondo l’83% degli eno-appassionati, è arrivato il momento che il mondo del vino prenda le distanze dal mondo degli alcolici in generale, per evitare di essere messo sullo stesso piano di cocktail o alcolpops (bevande dolci e gassate che nascondono la presenza di alcol dietro il gusto di frutta e invece hanno una gradazione tra 4 e 7 gradi), utilizzati dai giovani come mezzo per sballarsi. Il vino, secondo chi ha risposto al sondaggio di Winenews, è un vero e proprio alimento, da sempre presente nella nostra tradizione alimentare e culturale, da centellinare con calma e soprattutto da accompagnare al cibo. Niente a che vedere, dunque, con bevande ad alta gradazione alcolica o di origine chimica, da buttare giù tutto di un fiato con l’unico scopo di alterare la coscienza. C’è invece un 17% di enonauti che ritiene non necessario “smarcare” l’immagine del vino da quella degli altri alcolici: le campagne di sensibilizzazione al consumo consapevole del vino porterebbero infatti, indirettamente, a vederlo come mezzo per “sballarsi”, al pari di droghe e simili. Inoltre, affermano gli appassionati, chi ama bere vino di qualità ricerca il piacere e il gusto, e difficilmente è spinto dal bisogno di ubriacarsi. Quindi spendere eccessive risorse economiche e promozionali in questa direzione è ritenuto inopportuno. Secondo il 92% di chi ha risposto al sondaggio dovrebbero essere al più presto attuate - da parte di istituzioni, produttori e associazioni - campagne di sensibilizzazione sul consumo consapevole di vino. Occorre promuovere in generale la cultura del vino, spiegando che dentro ad ogni bottiglia c’è una storia, un territorio e soprattutto persone che lavorano duramente per produrlo, mettendo in evidenza il forte legame tra il vino e la terra. Al contrario, l’8% di chi ha risposto afferma che non debbano essere promosse campagne di educazione ad hoc: la ragione principale è che il target di chi beve vino è già costituito da persone che possiedono sufficiente cultura e consapevolezza per auto-regolare in maniera giusta e intelligente i propri consumi. Ma quali sono gli asset su cui puntare per promuovere il consumo consapevole? Secondo gli eno-appassionati, il più importante è quello salutistico, confermato da innumerevoli ricerche scientifiche in tutto il mondo. Un consumo moderato di vino, pari a circa un bicchiere a pasto, secondo gli esperti può prevenire le malattie cardiovascolari, oltre ad avere effetti anti-invecchiamento, anti-infiammatori e persino anti-tumorali, in particolare grazie alla presenza del resveratrolo. Un altro degli aspetti più importanti da far capire, secondo gli appassionati, è che il vino non è una bevanda da consumare da sola: serve ad accompagnare i pasti o comunque il cibo. Solo così si possono godere ed apprezzare i vari abbinamenti gastronomici, oltre a ridurre gli effetti del grado alcolico. Infine, ma non meno importanti, gli aspetti legati alla tradizione alimentare (il vino è parte integrante della dieta mediterranea, considerate tra le migliori al mondo dal punto di vista salutistico, tanto da essere riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco) e alla religione (il vino è uno dei simboli fondamentali del Cristianesimo). A chi rivolgere le campagne di educazione al consumo consapevole? Alla società nel suo complesso, ovvero famiglie, scuole, giovani e meno giovani, afferma il 40% degli enonauti che hanno risposto al sondaggio. Solo coinvolgendo l’intera società, infatti, si ha la certezza che la cultura del vino si diffonda in maniera estesa e capillare. Ma c’è chi invece preferirebbe puntare a target più precisi. Il 26% degli eno-appassionati ritiene giusto che i principi di un consumo consapevole debbano essere insegnati sui banchi di scuola, per essere inseriti in un più ampio programma di educazione alimentare, coinvolgendo i ragazzi delle scuole medie e superiori. Lo scopo è posizionare il vino ad un livello diverso e più alto rispetto ai superalcolici solitamente consumati dagli adolescenti Non vanno certo dimenticati i giovani: secondo il 23% di chi ha risposto sono loro il target da privilegiare, attraverso una campagna informativa seria che non cerchi solo il facile slogan e non abbia paura di sembrare pedante o didattica, ma affronti davvero la questione da un punto di vista storico, sociologico e, soprattutto, medico. Ma c’è chi afferma si debba partire dalle famiglie: secondo l’11% delle risposte le campagne di sensibilizzazione andrebbero rivolte ai nuclei familiari, in particolare ai genitori, per comprendere a cascata anche le nuove generazioni.

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