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“Il vino italiano sta vivendo una sorta di età dell’oro. Vitigni autoctoni, vini naturali, meno alcolici? Ben vengano, ma solo il prodotto finale è di qualità”: a WineNews, il sommelier n. 1 al mondo, Master of Wine (e molte altre cose) Gerard Basset

Italia
Gerard Basset

Nel suo tempo libero, segue il calcio, ed il suo amato Liverpool, e porta a spasso il cane. Altrimenti è semplicemente il sommelier n. 1 al mondo, ovvero Gerard Basset, Master of Wine, Master of Business Administration in vino, decorato con l’Obe (Order of the British Empire), e proprietario, tra gli altri, dell’Hotel Terravina, nell’Hampshire, e dove c’è un ristorante in cui “dalla cucina non esce niente, se il servizio del vino non è a posto”. E che, a WineNews, nel Simposio Internazionale dei Master of Wine, dice: “il vino italiano sta vivendo una sorta di età dell’oro, è popolarissimo tanto nel Regno Unito che in Usa, per esempio, credo che debba guardare al futuro con grande ottimismo”.

Un futuro per il quale, in tanti, puntando forte sui vitigni autoctoni. Ma non c’è il rischio di esagerare?

“Dipende: i vitigni autoctoni non vanno utilizzati solo perchè sono tali. Se il vino che se ne ricava è buono va bene, se il vino però non è interessante, non ha senso. L’Italia ha la possibilità di produrre grandi vini sia con uve autoctone che con uve internazionali. C’è spazio per entrambe. Certo, riuscire a produrre un buon vino con uve autoctone è interessante perché è un vino diverso”.

Lo stesso concetto vale per il fenomeno dei ”vini naturali”?

“Certo, il problema secondo me è quando si decide che una cosa vada bene a prescindere dalla qualità effettiva, solo perché risponde a certi criteri. Se un vino biologico o biodinamico è buono ben venga, altrimenti non ha senso difenderlo”.

Basset, il mercato, in Italia e nel mondo, chiede vini sempre meno alcolici, mentre la produzione, per tanti motivi, a partire dal clima, va nel senso opposto. Che fare?

“Non è una questione semplice. Se si producono ottimi vini con alto grado alcolico non bisogna certo smettere di produrli, perché c’è sempre un mercato anche per questi vini potenti. Poi, certamente, bisogna ascoltare il mercato, e se si riesce ad intervenire sia in vigna che in cantina per accontentare la gente che vuole vini meno alcolici va bene, ma questo non vuol dire fermare la produzione dei buoni vini che sono anche molto alcolici”.

Lei si definisce, ed è, prima di tutto, un sommelier. Ma che cos’è e cosa deve fare un sommelier, oggi?

“Il sommelier è semplicemente colui che deve riuscire ad accontentare il cliente, deve darli piacere, deve capire esattamente cosa vuole. E poiché ci sono diversi tipi di cliente, il sommelier deve essere anche un buon psicologo. Oltre che un buon venditore”.

Che ne pensa delle carte dei vini? C’è chi sostiene che quelle enciclopediche siano al tramonto, anche per via di ricarichi eccessivi e di prezzi alti ...

“Io credo che ci siano tante vie di mezzo, non c’è una ricetta sola. Possono funzionare sia piccole liste che cambiano spesso, o liste specializzate solo su vini spagnoli, per esempio, in un ristorante spagnolo. Certo, una lista troppo lunga può essere un problema: spesso non hai tempo di scegliere, c’è addirittura il rischio di mettere a disagio il cliente, anche nei ristoranti più importanti, e peggio che mai se tra tanti vini ce ne sono solo un paio sotto i 50 euro, magari. L’ideale sarebbe avere due liste, una grande completa, e una più breve e selettiva, ma c’è spazio per tutti. Sul fronte dei prezzi è verso che capita che siano troppo elevati, ma lì sta all’intelligenza del sommelier o di chi gestisce la carta”.

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