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SCENARI FUTURI

La montagna deve vivere 365 giorni all’anno: non solo meta turistica, ma luogo di servizi e lavoro

Spazio alle nuove generazioni, secondo la “ricetta” di “Cheese”, che chiude oggi. Bra candidata a Capitale italiana della Cultura 2026

Non solo una meta turistica, ma un luogo dove sviluppare servizi, lavoro e innovazione: è l’idea scaturita nella conferenza “Riabitare la montagna” a “Cheese”, evento internazionale by Slow Food dedicato ai formaggi a latte crudo, edizione n. 14, che si chiude oggi, a Bra. “L’Italia è un Paese delicato, da maneggiare con cura. La montagna non può essere trascurata, e noi a lungo lo abbiamo fatto, marginalizzandola, concentrando persone e attività in pianura, nelle città e su pochi tratti di costa” spiega Rossano Pazzagli, docente di Storia Moderna nell’Università degli Studi del Molise e direttore della Scuola di Paesaggio Emilio Sereni. E nel ripensare il futuro della montagna sarà fondamentale il ruolo giocato dalle nuove generazioni. Intanto, Bra è candidata, insieme ad Alba, Roero e Langhe (già Patrimonio dell’Umanità Unesco), a Capitale italiana della Cultura 2026.
Questo scivolamento a valle, lo spopolamento e l’abbandono sono fenomeni di lungo periodo - con un picco tra gli Anni Cinquanta e Settanta del Novecento - e hanno determinato quella disgregazione del paesaggio agrario che ha riguardato tutta l’Italia. Particolarmente colpite le aree montuose del nostro Paese, a cui si pensa spesso come un mondo altro, di realtà che si sono cristallizzate nel tempo e sono incapaci di evolvere. Slow Food, insieme agli ospiti e ai produttori presenti, ha cercato, a “Cheese”, invece, di proporre una narrativa diversa, per mostrare come la montagna non possa essere relegata ai margini del nostro mondo, né possa essere vista come un altrove passato. Secondo Pazzagli “dobbiamo dare a chi torna, ai giovani che guardano alla montagna, l’idea che questa davvero possa costituire un modello di vita alternativa. Ma perché davvero lo sia, perché davvero costituisca un’alternativa dobbiamo portare in montagna i servizi essenziali - che sono a tutti gli effetti dei diritti - come le scuole, i trasporti, e altro. E dobbiamo rileggere i territori attraverso i paesaggi, i paesi e i prodotti, che costituiscono un patrimonio non solo per le comunità che ci vivono, ma per tutta la società”. Anche le tradizionali figure del pastore e del casaro devono essere riviste, perché i giovani che si avvicinano a questi mestieri hanno bisogno di formazione, di affiancare alle conoscenze tecnico-scientifiche e all’applicazione delle innovazioni, il savoir faire artigianale dei prodotti caseari del loro territorio, il sapere legato alla gestione dei pascoli. Come nell’esperienza di Salvatore Claps, direttore del Crea ZA - Centro di ricerca Zootecnia ed Acquacoltura di Bella, in Basilicata, che, in collaborazione con Maria Assunta D’Oronzio (Crea PB - Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia), ha organizzato il corso per tecnici nelle produzioni lattiero-casearie tradizionali sostenibili. Una vera e propria scuola del casaro, cui fanno eco i vari corsi di pastorizia che stanno nascendo in diverse regioni italiane. .
A Pazzagli fa eco Antonio De Rossi, docente ordinario di Progettazione architettonica al Politecnico di Torino e autore, fra gli altri, del libro “La costruzione delle Alpi”: “il problema del rapporto tra urbano e rurale è globale, ma vede l’Italia come protagonista del dibattito. Negli anni della pandemia si è registrata una nuova attenzione verso la montagna, ma spesso quello che si tende a proporre è l’idea di un mondo idealizzato, turistico, fatto di piccoli borghi, osterie e vasi di gerani sui davanzali. Un’idea estetizzata che cancella la possibilità di vedere altre opzioni di sviluppo e, di fatto, molto pericolosa. Invece, quello che si dovrebbe proporre, e ciò per cui si dovrebbe lavorare, è un’idea di montagna in grado di generare funzionalità ed economie”.
La montagna, insomma, non solo come meta turistica, e luogo di evasione, ma un luogo in cui si sviluppino servizi per l’abitabilità adatti alle aree interne, e su cui investire facendone emergere anche le potenzialità di innovazione. Continua De Rossi: “bisogna ricostruire l’economia delle aree montane, mettendo in luce come qui si possa affermare una visione fortemente innovativa, dove il sapere scientifico dialoga con le economie agricole e montane”. I casi che cita De Rossi vanno proprio in questa direzione: nelle Alpi piemontesi, Ostana (Cuneo), che è passata dai 5 abitanti di una ventina di anni fa ad oltre 50, tra cui molti giovani e nuovi arrivati, che lì hanno trovato un luogo in cui sviluppare i propri progetti di vita; in Appennino, Gagliano Aterno, nell’Aquilano, si è ripopolato mettendo al centro l’ecologia e la proposta concreta di nuovi modi di abitare, lavorando anche sul tema della transizione energetica.
Dai margini, la montagna può tornare al centro dell’attenzione: dopo anni di abbandono e spopolamento può riprendere a essere viva e abitata, ma affinché questo succeda è necessario un cambio di passo. È necessario proporla come un luogo da abitare 365 giorni all’anno e non soltanto durante le vacanze, ed è necessario che la politica se ne occupi, elaborando strategie specifiche per le aree interne.
“La Strategia Forestale Nazionale è frutto di un lavoro corale, discusso e condiviso da un ampio pubblico - spiega il dg dell’economia montana e foreste Alessandra Stefani - l’obiettivo è quello di valorizzare e promuovere l’agricoltura di montagna e i pascoli montani come fondamentali presìdi della biodiversità in queste aree. E anche quello di riconoscere il giusto alle persone che garantiscono importanti servizi ecosistemici. Perché senza i luoghi e senza le persone non andiamo da nessuna parte”.
Di queste nuove economie e di queste energie “Cheese” si fa promotore proponendo come sempre, accanto alle voci di studiosi ed esperti, le testimonianze di chi la montagna la vive portandovi un’idea di agricoltura e allevamento rispettosi, in armonia con un ambiente fragile e delicato, da trattare con cura. Molti degli espositori presenti al mercato - le pastore, i pastori e i contadini - sono le testimonianze concrete di questo mondo troppo spesso collocato ai margini e che invece può e deve essere protagonista di rigenerazione.

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