Negli Stati Uniti, nelle ultime settimane, ha fatto molto parlare nel mondo del vino la sentenza della Corte Suprema nel caso Tennessee Wine and Spirits Retailers Association v. Russel Thomas che, sebbene indirettamente, tocca un punto fondamentale del sistema di distribuzione del vino, il ben noto Three Tier System, e potrebbe aprire le porte alla vendita diretta tra Stato e Stato da parte dei rivenditori/retailer di altri Stati, cosa sino ad oggi in molti casi vietata. Per capirne di più, specie da un punto di vista legislativo, WineNews ha approfondito il caso con l’avvocato Roberta Crivellaro, tra le massime esperte del settore e profonda conoscitrice del sistema giudiziario americano. “Come si muoverà adesso nel dettaglio il settore dei wine retailer è difficile dirlo - spiega l’avvocato - perché la sentenza non ha fatto altro che dichiarare l’incostituzionalità del principio per cui per aprire una rivendita di vino, secondo la legge del Tennessee, bisogna risiedere nello Stato da almeno due anni. La Corte Suprema Usa, in sostanza, ha confermato quanto sancito dal Giudice di Primo Grado. Incidentalmente, il mondo del vino si sta interrogando sulla possibilità che questa sentenza possa aprire dei varchi alla messa in discussione del Three Tier System, ma la sentenza non si è pronunciata su questo, per cui è prematuro pensare che possa cambiare qualcosa in tempi brevi”.
Essenzialmente, non viene messo in dubbio il funzionamento del sistema, ma uno spiraglio esiste, “ed è offerto dal fatto che si può leggere la sentenza come un’apertura alla possibilità che un rivenditore, con una licenza di un determinato Stato, possa vendere anche a consumatori di altri Stati. Potrebbe essere questo il Cavallo di Troia - continua Roberta Crivellaro - ma per ora nessun cambiamento è in vista. L’unica cosa che potrebbe scardinare lo status quo è passare per una modifica normativa, che allo stato attuale vedo abbastanza difficile. Però, è un momento importante, perché era dal 2005 che non si registravano pronunciamenti in materia di commercio di alcolici da parte della Corte Suprema, adesso bisogna capire se qualche altra associazione di retailer coglierà il momento per fare ricorso, ma in una situazione come quella americana vedo difficile il cambio di una normativa in vigore da quasi un secolo, però come detto è una sentenza che crea un precedente, ed il sistema legislativo americano si basa proprio sui precedenti - conclude l’avvocato - e questa sentenza effettivamente ne crea uno”.
Focus - Il caso
Come ricorda l’avvocato Roberta Crivellaro, in un articolo comparso sul sito del suo studio, il “Withers World Wide”, il caso nasce nel 2016, quando due società rivenditrici di alcolici, la Total Wine & More e la Affluere Investments, presentano una domanda per ottenere una licenza per vendere alcolici nello stato del Tennessee. La Tennessee Wine and Spirits Retailers Association (associazione che riunisce i venditori di alcolici locali) diffida la TABC dal concedere tali licenze, sul presupposto che la legge del Tennessee prescrive che le entità richiedenti tali licenze debbano risiedere per almeno due anni in tale Stato.
La TABC si rivolge quindi al tribunale competente, proponendo una domanda di accertamento preventivo circa la compatibilità della legge in questione con i principi costituzionali. Se da un lato, infatti, la costituzione degli Stati Uniti d’America, e più precisamente il 21° emendamento, garantisce ai singoli Stati il diritto di legiferare in modo autonomo in materia di alcolici, dall’altro lato, la stessa costituzione prevede una regola generale di non discriminazione degli operatori economici (produttori e rivenditori di vino inclusi) in ragione della loro residenza/sede nell’uno o nell’altro stato (c.d. Dormant Commerce Clause).
Il giudice territoriale accetta la incostituzionalità della legge del Tennessee e la TABC provvede quindi a concedere le licenze. La sentenza viene però appellata dalla Tennessee Wine and Spirits Retailers Association ed il caso finisce avanti la Corte Suprema statunitense.
La Corte, dal canto suo, aveva già affrontato una questione simile nel 2005, precisando nel famoso caso Granholm v. Heald che il 21° emendamento non dà agli Stati il diritto di legiferare in violazione della Dormant Commerce Clause, e dichiarando invalide le leggi che favoriscono i produttori di vino locali a discapito dei produttori degli altri Stati con riferimento alle vendite dirette ai clienti finali (c.d. “direct shipping”). In molti Stati, infatti, il direct shipping è oggi ammesso proprio grazie a tale sentenza.
Il dibattito che ha preceduto la presente pronuncia, riguardava in sostanza la possibilità di estendere in via analogica le conclusioni adottate nel caso Granholm anche al caso di specie, con il rischio (o la speranza, a seconda dei punti di vista) che ciò potesse incidentalmente aprire la porta ad una dichiarazione di illegittimità tout court di tutte le leggi statali che consentono ai rivenditori di uno stato di vendere alcolici direttamente ai consumatori finali, ma proibiscono ai rivenditori out-state di fare altrettanto. Più in generale, la causa veniva vista come base per un possibile attacco al c.d. three tier system, ossia la tripartizione del sistema distributivo su tre livelli, quelli del Producer/Supplier, Wholesaler e del Retailer, che, ai sensi della legge federale americana, non devono essere direttamente o indirettamente collegati tra di loro.
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