La situazione del vino, in tutto il mondo, è particolarmente complessa con molte sfide per il settore: dal cambiamento climatico alle crisi geopolitiche, passando anche per un’evidente variazione nelle abitudini di consumo. Un contesto difficile, insomma, per la vitivinicoltura globale che, nel caso francese, è stato oggetto di un’attenta analisi del professore di economia Jean-Marie Cardebat dell’Università di Bordeaux e della Inseec Grande Ecole, e di Fabrice Chaudier, consulente in formazione e supporto per la commercializzazione dei vini, pubblicata da “Vitisphere”. Partendo dalle variabili che rendono così delicato e incerto il mercato, per poi passare all’attuale stato dell’arte, arrivando fino alle letture e proiezioni sul futuro della vitivinicoltura, le riflessioni di Cardebat e Chaudier si riferiscono, certamente, al vino francese, ma non per questo risultano meno valide per altri Paesi produttori europei.
Tra le tematiche, c’è quella legata alla riduzione dei volumi raccolti con i piani di estirpo necessari a rialzare i prezzi del vino francese, ormai estremamente bassi, riducendo il prodotto in surplus. Un problema, quello delle giacenze, condiviso anche con il Belpaese che, secondo il report “Cantina Italia” dell’Icqrf, pubblicato sul sito del Ministero dell’Agricoltura, al 31 maggio 2025, ammontano a 46,6 milioni di ettolitri (+0,4% sulla stessa data 2024), ben oltre il quantitativo di una vendemmia media: numeri che, seppur inferiori del 6,3% sul 3o aprile, restano alti (dato a cui vanno aggiunti i 3,1 milioni di ettolitri di mosti e 77.863 ettolitri di vino nuovo ancora in fermentazione). L’inefficacia delle azioni correttive nel caso francese, per Chaudier, testimonia uno sbilanciamento del mercato d’oltralpe tra domanda ed offerta che dipende da problemi specifici e strutturali: “la Francia non produce troppo, ma svende. Le difficoltà non svaniranno se non se ne affrontano le cause”. La produzione vitivinicola francese mira, infatti, per metà a soddisfare il suo mercato interno e per metà l’export, ma la sua quota a volume nel mercato mondiale continua a diminuire. Basti pensare che si è passati “dal 24,9% del 2000 al 12,7% di oggi - spiega Chaudier - si tratta di 12,05 milioni di ettolitri in più rispetto a quanto avremmo dovuto esportare nel 2024”. Sul mercato interno, invece, impatta il problema della rivoluzione nella distribuzione, con una Gdo che ha perso la sua leadership, sostituita da enoteche, vendita diretta, internet, e quant’altro (storia diversa nel caso italiano dove, pur se con qualche difficoltà, la grande distribuzione organizzata rimane in testa ai canali di vendita, secondo lo studio Circana per Vinitaly, presentato ad aprile 2025). Questi sono “canali più complessi e più costosi da catturare, con un consumatore che ha spostato i suoi acquisti verso vini biologici, bianchi secchi, bollicine, vini di origine, premium e vini da viticoltore: chi non li produce soffre più degli altri”. Una lettura, quella sull’evoluzione delle scelte del consumatore finale, condivisa anche da Cardebat, che evidenzia come “stiamo cambiando il nostro regime di consumo. Serve adattare l’offerta alle nuove aspettative dei consumatori e prospettare nuovi mercati, segmenti di mercato e via dicendo. Offrendo ancora gli stessi vini alle stesse persone, sbatteremo contro un muro. Anche sradicando sempre più viti, non cambierà nulla”.
Riflessioni puntuali che evidenziano un mercato del vino in via d’evoluzione nei comportamenti di acquisto e consumo dei wine lovers in Francia, ma come, del resto, nel mondo. A dimostrazione di ciò secondo una recente indagine condotta dall’Iwsr per il Conseil Interprofessionnel du Vin de Bordeaux, per gli acquirenti di 7 mercati strategici (Germania, Belgio, Cina, Stati Uniti, Francia, Giappone e Regno Unito) il grado alcolico è un fattore sempre più determinante e le preferenze in merito si spostano sempre più verso prodotti “meno impegnativi”. Parlando di numeri, la media è di 12,5 gradi alcolici in Francia e di 11,5 nei mercati dell’export citati, indipendentemente dal colore del vino. La domanda che sorge spontanea, quindi, è se l’estirpo dei vigneti sia o meno la strada giusta da perseguire. Nel caso francese, per bilanciare domanda e offerta in questo modo, ci vorrebbe una “riduzione del potenziale di produzione a 38 milioni di ettolitri, partendo dai più o meno 50 milioni di ettolitri attuali: ma vogliamo davvero sradicare un quarto del vigneto, 190.000 ettari?”, chiede Chaudier, sostenuto anche da Cardebat, che rimarca: “la riduzione dell’offerta inciderà davvero sui prezzi se i vini offerti non soddisfarranno le aspettative del mercato? Non a medio e lungo termine. Un nuovo piano di estirpo non avrebbe economicamente senso: le radici della crisi sono nello squilibrio tra domanda e offerta e nel deterioramento della situazione economica. Sarebbe meglio, piuttosto, aiutare il settore a ripensare il proprio portafoglio prodotti”.
In ogni caso le scorte di vino, un po’ per via della situazione di mercato tesa ed incerta, un po’ per i dazi indetti dal Governo statunitense guidato da Donald Trump nei confronti dell’Unione Europea, un po’ per via di un calo generalizzato dei consumi a livello globale, creano qualche difficoltà al mercato d’Oltralpe. A questo proposito, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) ha stimato che il consumo mondiale di vino nel 2024, a livello mondiale, è stato di circa 214,2 milioni di ettolitri, a -3,3% sul 2023. Una stima che, se confermata, equivarrebbe al volume più basso registrato dal 1961 (213,6 milioni di ettolitri): un trend negativo dei consumi che si conferma anche sul 2023. Il calo della domanda nei principali mercati, gli elevati prezzi medi, i bassi volumi di produzione e gli effetti persistenti dell’inflazione passata, hanno reso l’anno difficile. Alla progressiva diminuzione dei consumi, poi, ha contribuito anche l’evoluzione dello stile di vita, tra mutate abitudini sociali e cambiamenti generazionali. Tirando le somme, quindici dei primi venti mercati al mondo hanno registrato una riduzione dei consumi nel 2024 sul 2023. Un contesto complesso a livello mondiale, ma nel quale Cardebat aveva ipotizzato, al finire del 2024, una possibile ripresa rispetto alla crisi economica globale in atto (con l’inflazione ed il calo nei redditi che portano i consumatori a concentrarsi sui beni essenziali, rinunciando al resto), nello specifico, ma dove “il forte deterioramento delle condizioni economiche e l’aumento dell’incertezza nei due maggiori mercati mondiali (Stati Uniti e Francia) hanno aggravato la situazione: entrambi i Paesi hanno condizioni politiche caotiche”. E se negli altri mercati, tutto sommato, la previsione di una ripresa si è rivelata abbastanza accurata (come nel caso della stabilizzazione di Italia e Spagna), questa nuova evoluzione del contesto significa, guardando alla Francia, rimandare le speranze di una ripresa al 2026 o addirittura al 2027, considerando l’instabilità delle politiche economiche americane e che “la crisi è anche strutturale - dice Cardebat - poiché l’offerta è lenta ad adattarsi alla domanda ed è lenta a rivolgersi a nuovi mercati internazionali in modo massiccio, strutturato e collettivo su scala nazionale”.
Non è il caso, però, di allarmarsi perché la vite non è in crisi: “mai prima d’ora così tanti paesi hanno consumato vino. Dobbiamo accettare questa globalizzazione del mercato e investire collettivamente per sostenere gli sforzi di vendita, cosa che non si fa - denuncia Chaudier - oggi, il 90% del bilancio dell’Organizzazione comune del mercato vitivinicolo (Ocm) rimane destinato all’upstream e la Francia rimane l’unico grande Paese esportatore a non avere una strategia nazionale. Più la situazione economica fluttua, più questo sforzo diventa essenziale”. La ricetta per il futuro del vino prealpino, per Chaudier e Cardebat, passa dall’innovazione, quindi, possibile anche grazie ai 280 milioni di euro annui che la filiera francese riceve dall’Ocm vino: la creazione di grandi centri di dealcolazione, la promozione e lo sviluppo di nuovi profili professionali, o l’innesto per la produzione di bianchi, sono tra le tante possibilità di investimento per questi fondi. L’importante è definire assi e priorità ed “accordarsi, non dividersi” con i viticoltori e le case vinicole che dovrebbero portare avanti queste strategie.
Il prossimo futuro del vino francese, in questo 2025 ed oltre, è una questione di “adattabilità” del settore, con “le autorità pubbliche che devono assumersi le proprie responsabilità per aiutarlo in modo intelligente e massiccio, perché pochi attori hanno ancora la capacità finanziaria per investire” dice Cardebat, con Chaudier che invita a riflettere sul fatto che “mentre molti viticoltori continuano a sprofondare nella povertà, alcuni addirittura fino al suicidio, non si sono mai visti così tanti successi individuali. I vignaioli non possono affrontare le sfide da soli, serve uno sforzo collettivo o finiremo per logorarci gli con gli altri”.
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