Ma chi lo ha detto che un grande vino per essere tale deve essere solo un vino da invecchiamento? Quando un’etichetta centra perfettamente la sua tipologia, forse ha già raggiunto lo stato di “grande vino”. Complice un’annata decisamente favorevole, il Torgiano Rubesco 2019 sembra proprio aver colpito nel segno. Fragrante e sbarazzino al naso dai sentori di frutti di bosco, viola, pepe e una leggera nota di grafite, questo Sangiovese e Colorino possiede anche un sorso delizioso e goloso, tendenzialmente fresco, dal fruttato succoso e tannico quanto basta, con un finale saporito, quasi piccante. In più, in questo caso, c’è anche da aggiungere un altro elemento. La coppia di rossi Rubesco (il nome rimanda al verbo latino “rubescere”, cioè arrossire), nato nel 1962, e Rubesco Riserva nato nel 1964 poi Vigna Monticchio (dal 1974), con in più l’arrivo della Doc Torgiano nel 1968, rappresenta una delle tante intuizioni di Giorgio Lungarotti, fondatore di una delle cantine più note dell’Umbria e, di fatto, uno dei pionieri della moderna enologia italiana. Una coppia di vini difficile da pensare divisi, perché capaci di essere l’uno il perfetto complemento dell’altro, insomma il perfetto Second Vin, simile ma distinto, dal Grand Vin. Oggi, Lungarotti ricopre un ruolo importante nello scacchiere enoico del Bel Paese e può contare su 250 ettari di vigneto per una produzione di 2.500.000 bottiglie.
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