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Meno carne, pesce e verdure sulle tavole degli italiani, il 12% ha tagliato i consumi alimentari, e con un “food social gap” sempre più ampio per classe sociali: a dirlo le anticipazioni di una ricerca Censis (presentazione il 26 ottobre al Senato)

La crisi starà anche passando, in Italia. Ma il cibo, o almeno certi tipi di alimento, sembra tornare a dividere gli italiani per classi sociali come in passato, con un “food social gap” che torna a farsi sentire notevolmente. Con il 12% delle famiglie italiane (soprattutto operai e pensionati) che ha tagliato la spesa alimentare, partendo ovviamente dai prodotti più costosi come carne e pesce, ma non solo. Emerge dalle anticipazioni di una ricerca del Censis (Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando Il valore sociale dell’alimento carne e le nuove disuguaglianze) che sarà presentata il 26 ottobre in Senato. Secondo cui, nell’ultimo anno, 16,6 milioni di italiani hanno ridotto il consumo di carne, 10,6 milioni quello di pesce, 9,8 milioni la pasta, 3,6 milioni la frutta, 3,5 milioni la verdura. E non tanto per un cambiamento di stili alimentari, che pur avranno inciso, con il crescere del numero di persone vegetariane e vegane. Il collegamento con il reddito appare evidente visto che, se come detto il dato complessivo parla di un 12,2% di nuclei familiari che hanno ridotto i consumi, la percentuale cresce al 19,4% nelle famiglie operaie, e al 28,4% tra i disoccupati.
Ma oltre all’aspetto economico, fondamentale, è anche la mentalità che è cambiata, e soprattutto le priorità che gli italiani danno al loro budget, commenta il presidente del Censis Giuseppe De Rita: “la crisi ha imposto una restrizione dei consumi, in particolare nelle fasce più basse. È anche vero, però, che dovendo rinunciare a qualcosa, si possa ritenere più importante avere un nuovo cellulare che la carne in tavola tutti i giorni”.
Più in dettaglio, questa nuova disparità sociale in tavola è confermata da ogni tipo di cibo: hanno tagliato il consumo di carne il 45,8% delle famiglie a basso reddito contro il 32% dei benestanti, sul pesce il 35,8% dei meno abbienti contro il 12,6% dei più ricchi. Per la verdura, il consumo familiare è diminuito del 15,9% tra chi ha basso reddito rispetto al 4,4% dei benestanti. Per la frutta, la riduzione tocca il 16,3% dei meno abbienti e solo il 2,6% delle famiglie più ricche. Senza contare che in media poi il 21% degli italiani ha comprato meno pasta.
E, ovviamente, ci sono conseguenze della salute perché spiega il dg Censi Massimiliano Valerii al quotidiano “La Repubblica”, “peggio si mangia più ci si ammala. Il taglio di proteine e vitamine aumenta il rischio di patologie, dicono gli esperti. Il tasso di obesità, racconta l’indagine, è più alto nelle Regioni dove i redditi sono più bassi e la spesa alimentare in picchiata. Come al Sud dove negli ultimi sette anni la spesa è crollata del 16,6 % e il reddito in media è di un quarto inferiore alla media nazionale: qui obesi e sovrappeso sono il 49,3%, quasi metà della popolazione”.
Ad approfondire queste tematiche e a capire come crisi ma anche mutamenti culturali hanno cambiato “la dieta” degli italiani, il 26 ottobre a Roma, nella Sala Zuccari del Senato, saranno,
oltre al dg Censis Valerii, il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, Giorgio Calabrese (Presidente Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare Ministero della Salute), Massimiliano Dona (Segretario Generale Unione Nazionale Consumatori), Marino Niola (Antropologo Università degli Studi Suor Orsola Benincasa), Roberto Moncalvo (Presidente Coldiretti) e Luigi Scordamaglia (Presidente Federalimentare), moderati dal giornalista e divulgatore scentifico Alessandro Cecchi Paone.

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