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Nei comuni d’eccellenza del vino italiano le pubbliche amministrazioni potrebbero non riuscire a far quadrare i bilanci. E’ auspicabile l’intervento delle aziende affinché contribuiscano alla gestione locale
di Alessandro Regoli

Siamo di fronte all’ennesimo e decisamente autolesionistico esempio di paradosso all’italiana: i comuni di eccellenza del vino “made in Italy”, da Montalcino, a Barolo, da Castellina in Chianti, a Montefalco, da Conegliano, a Barbaresco, solo per fare alcuni esempi, rappresentano fra i nostri migliori territori-vetrina agli occhi del mondo. Luoghi in cui si producono bottiglie dal grande valore aggiunto, dove la qualità della vita è alta, i redditi medi sono elevati, il tasso di disoccupazione è tendenzialmente nullo e l’integrazione perfettamente riuscita. Ma in quegli stessi luoghi, le pubbliche amministrazioni potrebbero arrancare a far quadrare i bilanci, tra crisi economica e interventi di taglio da parte della Stato centrale e potrebbero non disporre più delle adeguate risorse economiche per la cura del verde pubblico e la tutela del paesaggio, per la fornitura di servizi di accoglienza e di informazione turistica, per il recupero dei beni artistici e la cura dei centri storici e dei borghi antichi. Alla lunga, insomma, il rischio è quello di danneggiare irrimediabilmente l’immagine di questi luoghi che il mondo ci invidia e di conseguenza anche il valore aggiunto che i vini prodotti in quei luoghi riescono a spuntare, interrompendo quel circolo virtuoso in cui il vino promuove il territorio e viceversa.

Le aziende locali, in particolare quelle vitivinicole che traggono enormi vantaggi per il loro business da una oculata amministrazione del territorio, sono chiamate dunque a ricoprire nuovamente un ruolo da protagoniste, diventando un elemento decisivo per diminuire i danni di questa possibile dinamica e rompere il meccanismo irrazionale di questo ennesimo paradosso all’italiana, contribuendo attivamente alla gestione del territorio, attraverso forme di partnership e sponsoring con la pubblica amministrazione. Si possono fare svariati esempi. Il sostegno a progetti con finalità sociali può essere fornito attraverso strumenti come lo sponsoring - per esempio di un pulmino per la scuola o di un parco - o l’“adozione” di edifici pubblici o monumenti, o, ancora, la manutenzione delle strade bianche può essere condivisa con l’intervento dei manutentori comunali ...

Sono queste misure tipo che rappresentano una sorta di intervento compensativo “volontario” e che, anche alla luce del disegno di legge sul federalismo fiscale, in cui purtroppo non si fa cenno alla cosiddetta “fiscalità rurale”, potrebbero essere fra le poche iniziative concrete per salvaguardare territori di così grande valore. Con l’abolizione dell’Ici sui fabbricati rurali e sulla prima casa, infatti, restano di fatto ancora da individuare le risorse alternative per gli enti locali. In questo contesto, peraltro, potrebbe anche essere valorizzata e finalmente applicata la “Legge di orientamento per l’agricoltura” (Decreto Legislativo n. 228/2001), che definisce la multifunzionalità dell’impresa agricola, che può essere coinvolta nella realizzazione di interventi utili alla tutela e al mantenimento della qualità complessiva dei territori (manutenzione di strade, tutela del paesaggio, salvaguardia dell’ambiente), consentendo ai comuni di tirare un po’ il respiro in una situazione congiunturale che rischia seriamente di imporre scelte difficili.

E’ questo una sorta di appello, ma anche una chiamata a prendere le proprie responsabilità fino in fondo, a chi di questi territori usa legittimamente, ma con grandi vantaggi, la loro incomparabile bellezza.

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