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NUOVE TENDENZE NEL MONDO DEL VINO - TRA IL RADICALE CAMBIAMENTO DEL MERCATO E LA RICERCA DI UNA IDENTIFICAZIONE SENSORIALE PER I NUOVI VINI, LAS VEGAS DIVENTA LA CAPITALE DEGLI STATI UNITI PER CONSUMO GIORNALIERO DI BOTTIGLIE

Difficile decifrare le nuove tendenze che il vino assumerà nel prossimo futuro. Ma per Enzo Vizzari, direttore delle Guide del Gruppo Espresso, un punto fermo da cui partire già esiste: “Bisogna smettere di parlare di crisi siamo piuttosto in una fase di radicale cambiamento del mercato, in cui la domanda è in veloce trasformazione e occorre tarare in modo nuovo il nostro approccio verso quella domanda. Bisogna studiare i canali di distribuzione, la comunicazione, insomma gli elementi basilari del marketing, questi sì in crisi, rispetto alle esigenze contemporanee.
La minaccia dei vini del “Nuovo Mondo” è concreta, perché sono vini ineccepibili, ma mancano completamente di identità, non sono riconoscibili dal punto di vista territoriale. Per contrastarli bisogna lavorare sulla qualità, soprattutto in vigna, e sull’identità, ma non concentrando tutti i nostri sforzi esclusivamente sui vitigni. Esistono esempi clamorosi di vini ottenuti da vitigni internazionali che esprimono una identità forte rispetto allo specifico territorio in cui sono coltivati. E poi c’è il marketing - conclude Vizzari - che non è una parolaccia. Bisogna applicarlo sistematicamente e con rigore, studiando per prima cosa le dinamiche dei mercati, le caratteristiche del prodotto, il posizionamento di prezzo e la comunicazione”.
Dal punto di vista delle nuove tendenze di mercato François Mauss, presidente del Grand Jury Européen rivolge la sua attenzione non tanto sui nuovi mercati dell’Estremo Oriente, quanto su quello che accade nel mercato americano, che resta ancora quello di riferimento per i vini provenienti dall’Europa e individua un fenomeno di particolare rilevanza: “attualmente, è Las Vegas il punto di riferimento per i consumo di vino negli Stati Uniti, tant’è che il fatturato in vino ha superato quello del gioco. Un po’ di cifre: 40 milioni di visitatori all’anno, 750 coperti serviti mediamente ogni sera nei molti ristoranti della città, circa 3000 bottiglie di Champagne consumate al giorno, nelle circa 140.000 camere degli alberghi”.
Sul fronte tecnico, Carlo Ferrini, enologo pluripremiato dalle Guide e ottimo conoscitore dell’”universo” Toscana punta il dito sulla riconsiderazione “storica” di quanto è accaduto nel recente passato alla nostra viticoltura ed alla nostra enologia: “Mi ricordo bene come erano i vini toscani degli anni ’80, invecchiati in botti di castagno e non sottoposti alla fermentazione malolattica, che a quel tempo era da noi praticamente sconosciuta. Abbiamo compiuto passi enormi, in un pochissimo tempo, ma ancora i nostri vini non riescono ad esprimere una identificazione sensoriale definita, a differenza dei vini francesi, che immediatamente rimandano al loro territorio, qualunque esso sia. Credo che questo sia un peccato di gioventù da imputare alla nostra viticoltura, che, diciamolo, ha cominciato a lavorare per la qualità soltanto all’inizio degli anni ’90. Non sono d’accordo con chi oggi rimpiange il Sangiovese degli anni ’70 - conclude Ferrini - è un discorso pericoloso. Come non comprendo la discussione sui vitigni autoctoni, almeno nella forma che ha assunto oggi, cioè di sterile contrapposizione fra “Guelfi” e “Ghibellini”. Un vino è sempre figlio di un territorio e quasi mai solo di un vitigno”.
Anche secondo Cesare Pillon, giornalista di Civiltà del Bere “la tradizione deve essere coniugata con la modernizzazione del gusto che cambia, uscendo dal falso dilemma vitigno autoctono o varietà internazionale, per puntare esclusivamente su vini che esprimano il sapore della terra da cui nascono. E’ singolare che non si consideri il fatto che alcuni dei nostri migliori vini sono ottenuti da uvaggi internazionali, come è altrettanto singolare organizzare vere e proprie “crociate” contro la barrique - conclude Pillon - mentre vengono tranquillamente accettati i tini in acciaio inox”.
Michel Rolland, l’enologo più famoso al mondo, sottolinea questa tendenziale contraddizione sul filo della provocazione: “E’ la stessa modernità che ci permette di essere veramente “tradizionali”, nel senso che solo oggi, grazie alle nostre conoscenze, possiamo lavorare con tecniche tradizionali, ottenendo grandi vini, completamente esenti da difetti. La vera e propria distruzione della tradizione è avvenuta negli anni ’60 e ’70, quando, specialmente in vigna, siamo ricorsi all’uso sistematico della meccanizzazione. Ma oggi, siamo tornati a compiere molte delle operazioni di gestione del vigneto a mano e invecchiamo quasi tutti i nostri vini in piccole botti, il non plus ultra della tradizione”.
Tutto questo è emerso nel convegno svoltosi domenica scorsa dal titolo “Un nuovo vino oggi, tendenze a confronto”, organizzato dall’azienda di Pierluigi Tolaini, self made man che dalla Garfagnana è emigrato in Canada, dove è diventato un rispettato businessman, che dà lavoro a duemila persone. L’azienda situata a Castelnuovo Berardenga conta su circa 100 ettari vitati e sull’aiuto del winemaker Michel Rolland, che per la prima volta si trova ad affrontare le “insidie” del Sangiovese. Per ora sono in produzione due Igt Toscana: il “Due Santi” a base di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, e il “Al Passo”, blend di Sangiovese e Merlot.

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