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AGRICOLTURA

Siccità, arriva lo stato di emergenza per 5 Regioni. Ma crescono i danni anche da maltempo

Coldiretti: “bene le misure a favore di Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, che fanno il 44% del made in Italy”
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Siccità, arriva lo stato di emergenza per 5 Regioni. Ma crescono i danni anche da maltempo

Da un lato l’emergenza siccità, che ha già portato il Consiglio dei Ministri a dare il via libera allo stato di emergenza richiesto da Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna (che valgono quasi la metà della produzione agroalimentare italiana), dall’altro il maltempo che, in alcune zone, spesso delle stesse Regioni, invece che portare sollievo alle campagne, amplifica i danni. È lo stato dell’agricoltura italiana di oggi fotografato da Coldiretti. “Lo stato di emergenza per la siccità riguarda quasi la metà del made in Italy a tavola (44%), con le cinque regioni più colpite che rappresentano il 76% del grano tenero per fare il pane, l’88% del mais per l’alimentazione degli animali, il 97% del riso, ma allevano anche il 66% delle mucche e l’87% dei maiali nazionali”, commenta l’organizzazione agricola, dopo i provvedimenti assunti dal Governo, con uno stanziamento di 36 milioni di euro. Un territorio nel quale lavorano 225.00 imprese che rischiano di chiudere i battenti sotto i colpi della siccità, con i danni che hanno già superato i tre miliardi di euro, secondo Coldiretti.
“Il dimezzamento delle piogge nel 2022 ha avuto un impatto devastante sulle produzioni nazionali che fanno segnare cali del 45% per il mais e i foraggi che servono all’alimentazione degli animali, del 20% per il latte nelle stalle con le mucche stressate dal caldo afoso, del 30% per il frumento duro per la pasta nelle regioni del sud che - sottolinea la Coldiretti - sono il granaio d’Italia. In diminuzione di oltre 1/5 le produzioni di frumento tenero, ma crollano del 30% pure la produzione di riso, del 15% quella della frutta ustionata da temperature di 40 gradi, e del 20% cozze e vongole uccise dalla mancanza di ricambio idrico nel Delta del Po, dove si allargano le zone di “acqua morta”, assalti di insetti e cavallette che solo in Sardegna hanno già devastato quasi 40.000 ettari di campi”.
Una situazione sulla quale pesa in maniera determinante la mancanza di una rete di invasi capace di trattenere l’acqua della pioggia. Ogni anno, secondo Coldiretti, l’Italia perde 500.000 metri cubi di acqua al minuto che potrebbero invece garantire una riserva idrica a cui attingere nei momenti di siccità. Con il 28% del territorio nazionale che è a rischio desertificazione.
“Serve subito una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura, con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione”, sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che aggiunge: “con l’Anbi, l’Associazione nazionale delle bonifiche, abbiamo elaborato un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di bacini di accumulo (veri e propri laghetti) per arrivare a raccogliere il 50% dell’acqua dalla pioggia. Si tratta di 6.000 invasi aziendali e 4.000 consortili da realizzare entro il 2030 multifunzionali ed integrati nei territori perlopiù collinari o di pianura”.
Intanto, però, “il maltempo, con trombe d’aria, nubifragi, grandinate di dimensioni anomale, tempeste di vento e precipitazioni violente ha colpito a macchia di leopardo le campagne delle regioni del nord provocando milioni di euro di danni in un momento particolarmente delicato per l’inizio delle raccolte dei prodotti agricoli”, sottolinea ancora Coldiretti, dopo l’allerta della Protezione Civile sulla perturbazione che si è abbattuta su un territorio già colpito dall’emergenza siccità, dalla Lombardia al Piemonte, dal Veneto all’Emilia Romagna. “Alberi abbattuti, allagamenti raccolti devastati, dai vigneti alla frutta, dalla verdura al mais, dal grano al foraggio ma anche serre e tetti scoperchiati e muri di cascine abbattuti sono gli effetti della perturbazione che - sottolinea la Coldiretti - ha improvvisamente interrotto l’afa e la siccità che stringe di assedio le regioni del Nord”. La pioggia, sottolinea l’organizzazione agricola, è attesa per combattere la siccità nelle campagne ma per essere di sollievo deve durare a lungo, cadere in maniera costante e non troppo intensa, mentre i forti temporali, soprattutto con precipitazioni violente provocano danni poiché i terreni non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento provocando frane e smottamenti. “Siamo di fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici con il moltiplicarsi di eventi estremi e una tendenza alla tropicalizzazione con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo. Il risultato - conclude Coldiretti - è un conto per l’agricoltura di 14 miliardi di euro in un decennio, tra perdite della produzione nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture”.
Intanto, sottolinea Cia-Agricoltori Italiani, “ancora altri 10 giorni di siccità e la produzione nazionale di mais rischia di essere irrecuperabile. Senza piogge, si stima un crollo del 50% con una resa di 40/50 quintali per ettaro, paragonabile all’annus horribilis del 2003. Il livello di autosufficienza calerebbe al 30%, con effetto a valanga per l’alimentazione del bestiame delle nostre stalle e per tutte le eccellenze del made in Italy. Al danno, la beffa arriva per gli agricoltori dalla finanza internazionale - hedge fund e fondi speculativi - che sta affondando il prezzo del mais, arrivato a 35 euro al quintale e destinato a scendere ancora, noncurante della forte contrazione sul mercato globale dopo il conflitto ucraino. Secondo Cia, a fronte di una spesa media per ettaro schizzata a 3.000 euro dopo i rincari energetici e dei fertilizzanti, al cerealicoltore servirebbero almeno 40 euro al quintale per raggiungere un risicato pareggio”. La mancanza di acqua nelle settimane cruciali di sviluppo della pianta, spiega la Cia, avrebbe effetti catastrofici sul raccolto a settembre, che sarebbe scarso e mal pagato. Il risultato di una tale annata porterebbe la maggior parte delle aziende agricole, scoraggiate dall’aumento dei costi e dagli effetti della siccità, ad abbandonare questa coltura, di cui fino a 20 anni fa l’Italia era autosufficiente all’80%. Tutta la zootecnia nazionale sarebbe sempre più in balia dell’import ed esposta alla volatilità dei prezzi, decisi sulla testa degli agricoltori dalle speculazioni dei mercati finanziari e slegati dalle dinamiche della domanda e dell’offerta. Fra i rincari più pesanti per le aziende cerealicole si segnalano i costi per il fabbisogno idrico (laddove sia ancora possibile e non ci siano razionamenti da parte dei Consorzi di bonifica), che dagli abituali 150 euro per ettaro sono saliti a più di 400, dovendo implementare l’irrigazione per le altissime temperature di queste settimane. Lo scenario così negativo sta, addirittura, inducendo alcuni a non investire nelle irrigazioni di emergenza, convinti che il costo maggiorato non verrebbe ripagato in fase di commercializzazione del mais in autunno. Cia reputa che anche la deroga Ue sulla coltivazione delle aree a riposo abbia sortito pochi effetti nello stimolare la ripresa della produzione nazionale di mais. Se la superficie coltivata era, persino, scesa del 6% nell’ultima semina, la siccità e i fattori produttivi alle stelle potrebbero far desistere molti cerealicoltori italiani a investire nuovamente nel granturco.

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