Se il Sassicaia, nelle sue prime ore da “campione del mondo” ha già visto crescere le quotazioni dell’annata 2015 del 25% sul mercato secondario dei fine wine (dati del Liv-ex, che abbiamo riportato qui), la Top 100 di Wine Spectator ha messo in fila, come di consueto, tanta altra Italia. Innanzitutto, il Chianti Classico Riserva 2015 di Castello di Volpaia, storica azienda di Radda in Chianti, alla posizione n. 3, e l’Etna San Lorenzo 2016 di Tenuta delle Terre Nere di Marco de Grazia, al n. 9. Scorrendo il resto della classifica, svelato solo oggi dal magazine Usa, di fronte ci troviamo una delle Top 100 più positive di sempre per il Belpaese del vino, che conferma la tendenza in auge da qualche anno, con la Toscana saldamente al top ed una folta rappresentanza del resto del Paese, segno che la biodiversità del vino italiano, il nostro vero punto di forza, è ormai una realtà anche dal punto di vista della stampa estera. In tutto, così, sono 19 le etichette tricolore, di cui 8 per la Toscana, 3 per il Piemonte, 2 per l’Emilia Romagna, una ciascuna per Veneto, Calabria, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e alto Adige.
Inizia subito il trionfo della Toscana e del Sangiovese, ma con una piccola sorpresa, perché dopo il Chianti Classico (alla n. 3), troviamo un Nobile di Montepulciano, e non un Brunello di Montalcino (storicamente assai ben rappresentato nella top 100 di Wine Spectator) alla posizione n. 11: il Nobile di Montepulciano Riserva 2013 di Carpineto che, con tenute a Montepulciano, Montalcino e Chianti Classico, si conferma come una delle piccole griffe dell’Italia del vino con la presenza più frequente nella top 100 di Wine Spectator. Spezza il monologo toscano un piemontese, il Barbaresco Rabajà Riserva 2013 dei Produttori del Barbaresco, alla n. 13, quindi è la volta del Brunello di Montalcino 2013 di Canalicchio di Sopra alla posizione n. 15 e del Brunello di Montalcino 2013 di Caparzo alla n. 17, con il Chianti Classico 2016 di San Felice alla n. 19. Alla posizione n. 24, un’icona del vino italiano nel mondo e dei Super Tuscan, il Tignanello 2015 di Antinori, ma c’è da scorrere fino alla n. 51 per trovare un’altra etichetta tricolore, lo Slatnik S Label 2015 di Radikon (Friuli Venezia Giulia), mentre alla n. 54 c’è il Barolo Undicicomuni Arnaldo Rivera 2013 di Terre del Barolo ed al n. 60 il Chianti Classico Vigna del Sorbo Gran Selezione 2015 di Fontodi. Alla n. 67 troviamo il Pinot Grigio Vigneti delle Dolomiti 2017 di Tiefenbrunner, seguito dal Soave Classico Otto 2017 di Prà, alla posizione n. 73 e dal Trebbiolo 2016 di La Stoppa al n. 76 (Emilia). Alla posizione n. 81, dalla Calabria, il Critone Val di Neto 2017 di Librandi, mentre alla n. 88 c’è il Barolo 2014 di Paolo Scavino, alla n. 96 il Montefalco Sagrantino Colle alle Macchie di Tabarrini ed alla n. 99 il Lambrusco di Sorbara del Fondatore 2016 di Cleto Chiarli e Figli.
Resterà, nella storia della critica enoica mondiale, come una delle Top 100 da incorniciare per il vino italiano, che sale sul gradino più alto del podio per la quarta volta, per la gioia su tutti di Niccolò Incisa della Rocchetta, alla guida di Tenuta San Guido, casa del Sassicaia, che ha affidato a WineNews il proprio messaggio, raccontando di non essere “preparato ad una cosa del genere, ma è una prima volta che ci riempie di gioia. Non so se si possa definire il Sassicaia come il più grande vino d’Italia, lasciamo che siano gli altri, in caso a dirlo, ma di certo è tra le maggiori espressioni enoiche del Paese. Ormai, a cinquant’anni dalla prima annata imbottigliata, possiamo ben dire che non è più un’innovazione, ma che appartiene a tutti gli effetti alla tradizione del vino italiano”. Sensazioni che, sicuramente, avranno accompagnato a loro tempo anche gli altri numeri uno: nel 2006 fu il Brunello di Montalcino 2001 Tenuta Nuova di Casanova di Neri, nel 2001 l’Ornellaia 1998 di Tenuta dell’Ornellaia (in quel tempo guidata ancora da Lodovico Antinori, ndr) e nel 2000 il Solaia 1997 Antinori.
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