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LA RIFLESSIONE

Vino e mercato: c’è più offerta che domanda. Spagna e Francia chiedono la distillazione. L’Italia no

Analisi WineNews: il settore, nel Belpaese, è complessivamente in buona salute. Ma qualche difficoltà, nei territori meno blasonati, si fa sentire
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Il mercato del vino, tra territori che volano e altri che soffrono

Ormai da qualche anno, a livello globale, nonostante l’alternarsi di annate produttive molto scarse e di altre non eccessivamente abbondanti, sulle medie degli ultimi 5-10 anni, la produzione di vino è ben più grande del consumo. Gli ultimi dati completi dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv), guidata da Luigi Moio, pubblicati nella primavera 2022 (e relativi al 2021), parlavano di una produzione a 260 milioni di ettolitri nel mondo, e di un consumo di 236 milioni di ettolitri. Con un dato alla produzione più o meno in linea con le stime per il 2022, che verranno approfondite il 20 aprile, nella presentazione del Rapporto sullo “State of the World Vine & Wine Sector” da parte della stessa Oiv.
Ma, in attesa dei numeri statistici, la sintesi brutale è che, nel mondo, c’è troppo vino. O meglio, c’è più offerta che domanda. Discorso generico, che non vale, ovviamente, per tutti i territori del mondo, con alcuni tra i più blasonati, come la Champagne e la Borgogna in Francia, o le Langhe in Piemonte, Bolgheri, il Chianti Classico e Montalcino in Toscana, la Valpolicella in Veneto, l’Etna in Sicilia, la zona del Verdicchio nelle Marche, e tutto il mondo della spumantistica, dal macrocosmo Prosecco al Franciacorta, dall’Asti al Trentodoc, all’Altalanga, che, nel complesso, non sembrano vivere particolari problemi di mercato. Situazione diversa a Bordeaux, dove al netto dei risultati sempre positivi dei migliori Chateaux, la crisi di sovrapproduzione per i vini di fascia più bassa, in questi mesi, come abbiamo raccontato spesso, è esplosa in tutto il suo fragore, con richieste strutturali, come quella per un piano di espianto di 30.000 ettari, per i quali, però, non si trovano sufficienti risorse, almeno a detta dei viticoltori, a misure più emergenziali, come quella della distillazione di crisi, che la Francia, attraverso FranceAgrimer, ha richiesto per 2,5 milioni di ettolitri (soprattutto tra Languedoc, Occitania e Rodano, ndr), con il Ministero dell’Agricoltura che avrebbe messo a punto un sistema in due tranche per complessivi 80 milioni di euro finanziati con i fondi europei (si parla di 70 euro ad ettolitro per i vini Igp e di 75 per i vini Dop). Ma anche in Spagna è arrivata la richiesta da parte della “Cooperativas Agro-alimentarias de España”, della distillazione di 3 milioni di ettolitri, come abbiamo raccontato qui.
Tra le tre grandi potenze produttive (che mettono insieme oltre la metà di tutto il vino prodotto nel mondo), dunque, l’unica in cui una qualche rappresentanza della filiera non ha chiesto (ancora) la distillazione, dunque, è l’Italia. Segno che va tutto bene? Non proprio. Come noto, le esportazioni, nel 2022 che hanno fatto il record in valore sfiorando gli 8 miliardi di euro, sono diminuite, seppur solo di qualche decimale. Mentre nella Gdo, dopo un 2022 chiuso a -5,4% in volume per i vini fermi ed a -5% per le bollicine, nel primo trimestre 2023, secondo i dati Circana (già Iri), la tendenza al ribasso si è amplificata, con i vini fermi a -6,2%, e gli spumanti a -0,5%. Di contro, secondo i dati Cantina Italia, pubblicati ieri ed aggiornati al 31 marzo 2023, nelle cantine del Belpaese, secondo i dati del Registro Telematico, ci sono 60 milioni di ettolitri di vino, il +5,1% rispetto ad un anno fa (anche se calano del -9% le giacenze dei mosti, a 6,2 milioni di ettolitri, ndr). Un insieme di numeri che, a logica, raccontano di un sistema produttivo che se, come detto, vede alcuni territori ed alcune aziende correre sui mercati, vede altri distretti in una forma tutt’altro che brillante. E se nessuno, ufficialmente, si sbilancia, la sensazione che qualche difficoltà, in alcune denominazioni meno blasonate o prestigiose, stiano per arrivare è netta, toccata con mano a ProWein a Dusseldorf ed a Vinitaly a Verona, in centinaia di incontri e chiacchierate che lo staff di WineNews ha avuto con tanti produttori, e confermata anche da tanti studi che, soprattutto sul largo consumo, con il potere di acquisto delle famiglie che cala e l’inflazione che continua ad essere elevata, vede i vini, soprattutto “entry level”, a rischio taglio.
Ad oggi, però, come detto, almeno di distillazione in Italia, non si parla. In primis, secondo alcune voci di corridoio raccolte da WineNews, per due motivi. Da un lato, che, a differenza di Francia e Spagna, dove il grosso del mercato è fatto da pochi grandissimi distretti che se vanno in sofferenza mettono in crisi il comparto, l’Italia è fatta di tante realtà territoriali più piccole, con pesi specifici, anche volumetrici, diversi, che al netto di qualche difficoltà localizzata, non fanno guardare, ad oggi, ad una difficoltà a livello nazionale. Dall’altro, che in ogni caso, le risorse per la distillazione sarebbero esigue, e non risolutive.
Perché dei 323,8 milioni di euro previsti per il Piano di Sostegno Nazionale al settore vino (che deriva dall’Ocm) per il ciclo 2023/2024, e come ormai accade da tempo, solo una parte minoritaria, pari a 19,2 milioni di euro, è destinata alla distillazione, per altro non di crisi, ma dei sottoprodotti della vinificazione. Mentre il grosso, per una scelta precisa del sistema Italia (e che fino ad oggi ha pagato), è dirottato su misure “qualitative” e di mercato, come la ristrutturazione e riconversione dei vigneti (144,1 milioni di euro), la Promozione nei Paesi Terzi (98 milioni di euro) e gli investimenti (57,6 milioni di euro).
Inoltre, secondo altri, la richiesta di una misura di “distillazione di crisi”, con ogni probabilità, darebbe il là ad un calo dei prezzi, soprattutto dei vini comuni (ma non solo) che già non vivono un momento florido: secondo le rilevazioni Ismea, i prezzi dei vini bianchi comuni, a marzo 2023, si aggirano sui 3,8 euro ad ettogrado, in calo del -8,1% sul marzo 2022, mentre i rossi quotano 3,69 euro ad ettogrado, in ribasso addirittura del -18,9%.
Un quadro complesso, dunque, e di grande incertezza. Che racconta di un vino italiano che, lungi dall’essere considerato un “malato grave” - quale non è - nel quadro di uno stato di complessiva buona salute, sembra accusare qualche “acciacco localizzato” da non sottovalutare per il prossimo futuro.

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