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VINO ITALIANO & EXPORT: TRA TASSE E DAZI IL PREZZO DELLA BOTTIGLIA CRESCE FINO A 10 VOLTE: ANALISI WINENEWS: IL RISCHIO È CHE I CONSUMATORI STRANIERI NON RIESCANO A PERCEPIRE IL VERO RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO DEI NOSTRI VINI

Italia
Si fa presto a dire export ... Tra dazi e tasse il prezzo della bottiglia dalla cantina alla scaffale decuplica

Si fa presto a dire “export”, ma bastano pochi passaggi (obbligati) ed ecco che la bottiglia che esce da una cantina italiana si trova sullo scaffale straniero a prezzi anche 10 volte quello di partenza. Con il rischio reale che i consumatori stranieri non riescano a percepire il vero rapporto qualità/prezzo dei nostri vini, da tutti indicato come chiave di volta del mercato. Ecco l’analisi di www.winenews.it: balzelli, tasse, accise e spese aggiungono enormi difficoltà alla concorrenza spietata dei produttori del Nuovo Mondo, e ad una crisi che non è stata ancora del tutto digerita.
E il consumatore finale non coglierà mai queste dinamiche, qualora reputi il prezzo di un’etichetta troppo alto, ma, bensì, scaricherà la sua insoddisfazione direttamente sul marchio della bottiglia e quindi sul produttore che di tutto questo, è, se mai, anch’esso una vittima. E il discorso vale tanto per i mercati storici, come gli Stati Uniti, quanto per quelli emergenti, come Cina, Est Asiatico e Brasile, per esempio.
Una bottiglia di vino che esce in Italia ad 8 euro franco cantina in Brasile, un mercato che sta diventando sempre più importante, arriverà a costare sullo scaffale circa 45euro. Il tutto perché oltre alle normali spese di commercializzazione e ai ricarichi dei locali, c’è una serie di “balzelli” che va da una tassa ad valorem del 27% per i vini tranquilli, ad una tassa per l’importazione, fino ad accise ad valorem che variano a seconda delle zone di destinazione.
Pressoché stessa dinamica anche per il mercato della Cina continentale. Le tasse di importazione oscillano dal 40% al 60% del valore dichiarato dalla fattura, a cui va aggiunto il costo di trasporto, il ricarico del distributore e/o del commerciante o di tutti e due. Insomma, un vino che parte dall’Italia a 5 euro franco cantina non costerà allo scaffale di Pechino, piuttosto che di Shangai, meno di 25-30 euro.
Non meno importante la variazione di prezzo del vino destinato al mercato indiano: una bottiglia che parte dall’Italia a 6 euro, arriva sugli scaffali degli Stati di Maharashtra, Goa o Bangalore, a oltre 54 euro. Conti alla mano si devono considerare il 150% di dazio doganale e il 200% di accise cui si aggiunge un 9% per scarico e sdoganamento, un 29% di carico in deposito, un 12,5% che si prende l’importatore, il 12% del grossista e il 15% di ricarico del dettagliante. Alla fine, compresa la tassa di vendita, si arriva a un valore finale che è quasi 10 volte quello di partenza.
E anche il “sogno americano” nasconde una dura realtà, perché negli Stati Uniti la dinamica dei prezzi assume contorni per certi versi inaspettati. Benché in ogni Stato esistano tasse sulla vendita e tasse ad valorem, non particolarmente forti però, è il meccanismo dell’importazione/distribuzione a fare la differenza. Qui, un vino che esce da una cantina italiana a 8 euro franco cantina, arriva a costare 2/3 volte quel prezzo nel caso del passaggio produttore/distributore e distributore/enoteca (in questo caso il distributore ha licenza di importazione). Se si interpone anche un importatore terzo, il prezzo subisce un ulteriore ricarico ed è circa 3/4 volte il prezzo di partenza.
I prezzi presi ad esempio di 8, 6 o 5 euro franco cantina, diventano nei nostri scaffali 15, 11 o 9 euro. Stiamo parlando di vini poco sopra alla categorie di “vino quotidiano” e dal posizionamento di prezzo medio-basso. Vini destinati a diventare nei mercati internazionali prodotti abbastanza preziosi. E questo, molto spesso, senza che neppure lo stesso produttore sappia nel dettaglio come si costituisce una tale dinamica del prezzo.

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