Matt Kramer, editorialista di “Wine Spectator”, sofferma la sua attenzione in un articolo sulla rivista statunitense di settembre, su un libro scritto da Daniel Levitin ricercatore alla McGill University di Montreal, intitolato “This is your brain on music”.
Lo studioso, dopo un esame dei comportamenti di giocatori di basket, pianisti, scacchisti …, stabilisce che un esperto per ritenersi tale debba consumare 10.000 ore del suo tempo (pari a 3 ore al giorno, o se preferite 20 ore alla settimana, per 10 anni) sulla disciplina, attività, ecc ...., di cui vuole diventare un primo della classe. Kramer finisce con il sostenere che nel caso dell’esperto di vino non è poi il tempo a stabilire la sua competenza, quanto la passione e il cuore che mette nel degustare i vini.
La degustazione, infatti, non è codificata in un testo da imparare, per intenderci non basta il diploma da sommelier o la laurea in viticoltura ed enologia, e la sua buona realizzazione passa, evidentemente, dai sensi, o meglio da un paziente lavoro del loro affinamento, un costante “working in progress”, non quantificabile in termini di tempo, di ampliamento delle esperienze sensoriali. In più, un ruolo decisivo lo gioca anche la predisposizione genetica, nel senso che ci sono individui più “sensibili” di altri, in grado cioè di ricevere dai propri sensi più e migliori informazioni di altri.
Insomma, il vero esperto di vino deve passare molto del suo tempo tra bicchieri e bottiglie e, come qualunque altro professionista, deve allenarsi con diligenza e, soprattutto, con passione, confrontandosi anche con qualche difficoltà in più: mentre un suo collega che si occupa di arte o di musica, può giovarsi della riproducibilità del suo oggetto di critica, l’esperto di vino può contare solo sulle sensazioni momentanee prodotte nel breve tempo che dura un bicchiere o una bottiglia e dopo il loro esaurimento contare esclusivamente sulla sua memoria.
Detto questo, le 10.000 ore di Daniel Levitin, potranno forse sembrare una tipica semplificazione a stelle e strisce, ma pongono un problema: quanti fra i nostri “esperti” di vino, veri o presunti, possono vantare una tale “anzianità“ di servizio? Tra giornalisti spostati dalle redazioni ad occuparsi di vino perché va di moda e nuovi guru della critica enologica prestati al vino dopo una settimana passata in banca o in uno studio commercialista o in un ambulatorio, probabilmente la domanda non è peregrina e la passione può non essere sufficiente a spiegare l’abnorme proliferare di personaggi che vogliono dire la loro sul vino ... .
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