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Il mondo enologico va liberato dalle catene dei luoghi comuni
di Walter Cusmich, enoappassionato

Sul vino disponiamo di una letteratura immensa nonché di una pubblicistica vastissima, dilatatasi ancor di più durante questi ultimissimi anni, visto che la sua cultura è diventata anche un fattore di moda.

Constatiamo quindi la recente frenetica corsa della gente ad accaparrarsi una conoscenza più o meno approfondita del vino e di tutto ciò che lo riguarda. Purtroppo, questa corsa è diventata un mezzo al fine sbagliato di far vedere o credere agli altri di sapere di vino.

Quando si parla di piaceri, non sempre il sapere di essi vuol dire conoscerli.

In Italia dopo tre graduali corsi organizzati si diventa un “sommelier”, ovvero un esperto abilitato a spiegare agli altri cos’è il vino: dopo tre corsi di kamasutra si può forse diventare un esperto di sesso?

A mio avviso, in uguale misura, l’ignoranza di un tempo o la conoscenza tecnicistica e astratta del vino oggi generano una sola cosa: i luoghi comuni.

Il vino (così il sesso o il cibo) è stato ingabbiato nella nostra mente attraverso regole e classificazioni basate su presupposti estrapolati dalla chimica e da astratte teorie sensoriali non rispecchianti la soggettività che ogni persona possiede.

Il piacere di sentire il vino in questo modo diventa omologato, scontato e prevedibile. In una parola sola: arido!

Certo è vero che per alcuni cattolici astemi il vino diventa semplicemente un indispensabile elemento liturgico o che per gli ebrei ortodossi il vino rappresenta la regola, secondo la quale il numero delle coppe da assumere è rigidamente contato in base alla ricorrenza religiosa, fortunatamente per me e per molti altri il vino può diventare festa, l’irrazionale, la sregolatezza.

Per noi si tratta di un dio minore di ellenica memoria e che concretamente si percepisce nel proprio corpo.

Troppe volte i vini odierni sono stati costretti a sposarsi solamente con determinati cibi, nel nome di codificate regole chimiche e cerimoniali, troppe volte sono stati imprigionati nei famigerati “matrimoni enogastronomici”.

Ancora di più ribadisco che il vino non deve essere un mezzo di dimostrazione di conoscenza o di adeguamento culturale, ed il fine, quello vero, dovrebbe esprimersi attraverso un’esperienza sensoriale libera ed autentica. L’adulterio enogastronomico, se accade, diventa più piacevole ed intrigante come per tutte le trasgressioni in genere.

Non è una semplice bevanda e neppure una sublimazione terrena dello spirito, il vino non è succedaneo di qualcuno né ha il compito di ispirarlo, che si tratti di un uomo oppure di un cibo.

Il vino non è nato per sgrassare una bocca, oppure per pulire un palato come un aspirapolvere, nemmeno per disinfettare le gengive.

Milioni di articoli apparsi sulle cosiddette riviste specializzate di cucina hanno ridotto il vino ad un mero collutorio.

Il vino non soccombe al cibo e nemmeno lo prevarica , di qualunque piatto si tratti.

Si può bere vino senza mangiare o viceversa. Amen.

“Il vino è la cosa più civile che esista” diceva il buon Hemingway, e questa frase insegna a tutti noi, che nel mondo enologico viviamo, quanto sia importante liberarlo dalle catene dei sopraccitati luoghi comuni.

Liberarlo dalle credenze che vengono alimentate da parametri sbagliati, dagli interessi geografici di parte, dalle assurde classificazioni ed infine dalle cosiddette logiche di mercato.

Affrontiamo il vino e parliamone senza pregiudizi mentali.

Proviamo a pensare che:

- La vite non appartiene a nessuno, cresce dappertutto eccetto che nei deserti e nella tundra, il vino è apolide.

- In una degustazione “coperta” non esiste al mondo persona che sappia, tramite l’olfatto e il palato, riconoscere un vino bianco da uno rosso. Sono vent’anni che metto alla prova, divertendomi, gente comune e grandi vignaioli (questo non vale per gli allergici ad una o più delle diverse centinaia e forse migliaia di sostanze presenti nelle bucce dell’uva rossa).

- Il vino o è buono o è mal fatto.

Concetti apparentemente banali ma che possono diventare una buona premessa per smantellare una parte della complicata e allo stesso tempo artificiosa impalcatura di certezze costruita attorno al vino.

Sarebbe già un inizio scoprire che esistono vini che si limitano ad essere solamente estremamente buoni, equilibrati, senza sbavature sensoriali, in una parola perfetti, ma tutti uguali.

Sarebbe già un progresso sapere che esistono tante bottiglie provenienti dai posti più impensabili e che contengono dei sapori unici e che possono donare sensazioni marcate e originali, legate ad un determinato territorio. Bottiglie orfane dell’enologo di moda e che ti danno la gioia della scoperta.

Un sorriso e un buon bicchiere di vino possono essere le cose più importanti di questo mondo, a parte le trippe!


Walter Cusmich

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