Il capitolo della nuova Ocm vino che prevede l’introduzione, dall’agosto 2009, delle Dop e delle Igp in sostituzione degli altri sistemi di denominazioni in vigore nei Paesi dell’Unione Europea, ha suscitato allarme e preoccupazione tra le associazioni del mondo del vino italiano. “L’Unione Europea aderisce agli accordi mondiali del commercio, nell’ambito dei quali c’è un capitolo specifico dedicato alla proprietà intellettuale e ai modi per proteggere la denominazione di origine, quindi l’Unione europea non sta facendo altro - ha commentato a WineNews il direttore generale di Federvini, Ottavio Cagiano - che dare applicazione a questo tipo di quadro. Ha cominciato con i prodotti alimentari, quando si è data le Dop e le Igp, e adesso questa impostazione passa anche al settore del vino”.
“Nel settore del vino le regole sono più complesse - aggiunge Cagiano - perché è un settore che già disponeva di un quadro normativo, sia in ambito nazionale si a livello europeo, con regole fondate sui disciplinari e su alcune definizioni comuni come la regione determinata o l’indicazione geografica. Questo deve essere riportato adesso - sottolinea il direttore della Confindustria del vino - a questo nuovo scenario, che non esautora gli attori nazionali . Però prevede che ci siano innanzitutto delle regole di insieme, identiche, in modo che il prodotto che si fregia della denominazione di origine abbia delle basi comuni tanto in Italia quanto in Francia, ma anche nei nuovi paesi aderenti dove sta crescendo l’enologia”.
Che cosa pensa degli allarmi lanciati da alcune associazioni di categoria su questo aspetto della riforma?
“Innanzitutto come tutti i cambiamenti, soprattutto quando si tocca materia sensibile, tesori e parte del patrimonio nazionale quale è il vino italiano, è normale che ci sia una reazione e una preoccupazione e una maggiore attenzione. Detto questo è chiaro che non si può supporre che l’Ue e i principi del commercio internazionale - spiega Cagiano - lavorino per distruggerlo. La preoccupazione che scompaiano le denominazioni non la ritengo una cosa concreta. Le denominazioni resteranno, i sistemi dei disciplinari, anche se andranno rivisti e andrà ridiscusso il sistema di approvazione e di proposizione, resterà nella disciplina nazionale. L’ultimo atto formale di riconoscimento di quel complesso di attività in cui sono coinvolti uomini, territori e imprese e che danno luogo a un prestigio particolare del vino, sia Igt o Do, sarà comunitario, cioè sarà con un voto comunitario che si concretizzerà l’iscrizione nel registro europeo”. “Questo personalmente - aggiunge Cagiano - lo vedo come un rafforzamento. Mentre oggi le denominazioni sono nazionali, da domani saranno denominazioni pur sempre italiane, perché non è che il Brunello di Montalcino o l’Igt Sicilia diventeranno patrimonio europeo, ma riconosciute come denominazioni e indicazioni geografiche comunitarie”.
In questo nuovo quadro quale sarà il ruolo del Comitato Nazionale Vini?
“Il Comitato dovrà avere una nuova configurazione del suo inquadramento di attività legato a questo nuovo schema, per cui non sarà più il penultimo passaggio prima della determinazione del decreto del Ministro che sancisce la denominazione, perché ci sarà il passaggio a livello europeo per il riconoscimento, ma il disciplinare sarà sempre italiano.
Guardiamo quello che succede nell’olio d’oliva, nei formaggi, nell’ortofrutta: questo sistema delle Dop e Igp è già applicato, la denominazione e l’indicazione geografica sono riconosciute con un regolamento europeo, ma nel disciplinare c’è la volontà del ministero, degli operatori, delle regioni, degli interessanti. In questo senso il Comitato dovrà ridisegnare il proprio ruolo, perché uno schema comune nazionale ci deve sempre essere”.
A livello europeo si parla anche di una sorta di Dop “Europa” per il vino. Cosa ne pensa?
“Qui usciamo dal campo delle denominazioni così come le conosciamo e come le conosce il consumatore, ed entriamo in un campo vicino, molto prossimo, dove è facile creare una confusione al consumatore, ma comunque siamo nel campo di un’indicazione di provenienza.
Oggi qualcosa del genere già ce l’abbiamo in un certo senso, non dobbiamo immaginare che arrivi soltanto per il futuro. Basti pensare al prodotto che nascendo da un taglio di vini provenienti da paesi comunitari deve riportare in etichetta “origine: diversi paesi comunitari”, in un certo senso non si intende altro che “vino europeo”. Però immaginare un disciplinare, e quindi una logica di denominazione di origine, dove si dice che le uve possono essere di Spagna, Lussemburgo e Italia e che il prodotto ottenuto si chiama “Unione Europea” o “Europa”, questo lo vedo molto più complesso dal punto di vista della disciplina, poco utile per il mercato, perché il consumatore non saprebbe cosa immaginare di questo prodotto, e non lo vedo utile neanche per le grandi offerte, perché poi comunque si dovrebbe dire qualcosa di più.
E allora - conclude Cagiano - torniamo all’altro grande dibattito, quando si parla di prodotti con l’indicazione di provenienza con scritto “Vigneti di” e poi il paese di produzione: allora faccio il prodotto “Vigneti di Spagna”, “Vigneti di Italia”, “Vigneti di Francia” e anche “Vigneti d’Europa”. Sono concetti apparentante utili per una commercializzazione molto spinta, molto spicciola, ma difficilmente possono reggere nel tempo e soprattutto trovare accettazione e una perfetta comprensione da parte del consumatore”.
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