“400 orti didattici, 200 presidi del cibo salvati dall’estinzione, le osterie tornate ad essere luoghi di eccellenza del cibo italiano, l’aver fatto riscoprire a tante persone l’importanza di mangiare sano e consapevole, e l’internazionalizzazione del movimento”: così Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, traccia a WineNews il bilancio dei primi 25 anni della “chiocciolina”, fondata a Bra da Carlin Petrini nel 1986, oggi fenomeno di portata mondiale. Eppure, dopo la festa che, il 18 giugno, vedrà coinvolte 300 piazze italiane e le comunità del cibo nel mondo (www.slowfood.it), tante le cose da fare, perché l’ambizione è quella di “cambiare un sistema alimentare che non funziona più, partendo prima di tutto dall’educazione delle giovani generazioni, perché persone educate e consapevoli sono il primo motore del cambiamento. Non si sfamerà il pianeta con le grandi politiche globali, ma avendo la capacità prima di tutto di trovare le risposte a livello locale, studiare i bisogni alimentari di una comunità, costruire modelli locali che funzionino, e poi cercare di replicarli e di trasferirli altrove. Ma non c’è una ricetta magica. Per questo i piccoli agricoltori, le comunità del cibo, l’apprendimento e i cittadini consapevoli sono un punto di partenza fondamentale. Ci vogliono nuovi modelli, il privato non funziona, il pubblico spesso fallisce, e allora ci vuole una terza via, dove rimane riconosciuto il bene comune ma entra in gioco il cittadino con un ruolo inedito mai avuto prima, si creano nuovi meccanismi, nuovi sistemi, che non li cala la politica dall’alto, ma è la società civile dal basso a dimostrarsi molto più creativa ed innovativa”.
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