Dall’Europa agli Stati Uniti, l’emergenza Coronavirus è diventata globale, ed anche chi all’inizio l’aveva presa sottogamba, trattandola alla stregua di una banale influenza, adesso è costretto a misure draconiane, seguendo proprio l’esempio dell’Italia. A cominciare da Donald Trump: il presidente Usa, infatti, ha dichiarato lo stato d’emergenza in tutto il Paese, ed i Governatori non hanno potuto fare altro che procedere alla chiusura di scuole, università, in molti casi musei e, soprattutto, attività di ristorazione. Ossia il canale principale per il vino italiano, specie quello prodotto nei grandi territori del Belpaese. E poco importa che, per limitare i danni, è garantita a tutti la possibilità di fare delivery, perché la bottiglia aperta al ristorante , specialmente se di un certo livello, è decisamente un’altra cosa. Per le denominazioni al vertice della piramide produttiva italiana, così, si apre un nuovo fronte di crisi, dopo l’Asia, che dà i primi importanti segnali di risveglio, il mercato interno, e l’Europa, come hanno raccontato a WineNews i presidenti dei Consorzi dei grandi vini del Belpaese: c’è preoccupazione, ma anche la consapevolezza di poter fare ben poco se non aspettare e farsi trovare pronti, nella speranza che la crisi duri il minor tempo possibile.
A lanciare, per primo, l’allarme sulle prospettive funeste del mercato Usa, è stato il presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci che, ribadendo la vicinanza “agli amici statunitensi e consapevoli che la ripartenza ci vedrà in prima fila accanto a loro”, ha sottolineato “una innegabile preoccupazione dei nostri produttori in chiave di mercato. Nel giro di pochi giorni si è infatti fermato il nostro maggiore canale di vendita, quello dell’horeca, nei due principali mercati mondiali: Usa e Italia infatti rappresentano in media il 60% delle vendite globali di Brunello. Ora - aggiunge Bindocci - serve attendere, e il nostro vino lo sa fare, e osservare le regole, in attesa che la nostra annata 2015 possa riprendere quella corsa che prima dello stop si stava rivelando molto promettente, in particolare Oltreoceano”.
Dal Piemonte, il presidente del Consorzio di Barolo e Barbaresco, Matteo Ascheri, si dice “preoccupato, perché i rischio adesso è che si possa ripetere dappertutto - a cominciare proprio dagli Usa, che per noi valgono il 30% della quota export, e sono fondamentali per la nostra economia, al pari di Germania, Gran Bretagna e Canada - la situazione che stiamo vivendo in Italia, con il boom degli acquisti in Gdo e dei consumi casalinghi che non riguarda i grandi vini. La nostra economia è destinata a risentirne, ma in questo momento c’è ben poco che possiamo fare, se non metterci sotto coperta ed aspettare che passi la tempesta, sperando in un pronto rimbalzo dei consumi e lavorando già in ottica 2021”.
Sulla stessa linea Filippo Mobrici, alla guida del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, uno dei territori più dinamici del panorama enoico nazionale, che condivide “la preoccupazione per un’emergenza destinata a durare a lungo, il 2020 sarà un anno difficile, e gli Usa, che hanno preso atto per ultimi della situazione, iniziano già a mostrare i primi rallentamenti. Per ora il calo si avverte molto di più in altri Paesi, ma su 65 milioni di bottiglie prodotte il 10% vola Oltreoceano, su quello che è il mercato più ricco e capace di riconoscere il valore delle nostre produzioni, per questo ci preoccupa particolarmente. Molto però dipende da quanto durerà l’emergenza, se si risolve nell’arco di pochi mesi credo nel rimbalzo dei consumi, in Usa come in tutto il mondo. Notiamo però, a partire dall’Italia, che regge la Gdo, perché chi è abituato a bere bene ama farlo anche a casa, ed è ciò che speriamo succeda anche in Usa”.
Dalle colline del Chianti Classico, per il presidente del Consorzio Giovanni Manetti “la sensazione è che in Usa si vada nelle prossime settimane verso uno stop delle importazioni e degli acquisti, come visto in Italia ed in Europa, dove registriamo una grande sofferenza. Per noi gli Usa sono il primo mercato, valgono i 34% a valore per il Chianti Classico, ma in questo momento a regalarci una speranza è l’Asia: da Seoul a Tokyo, da Hong Kong a Shanghai, dopo due mesi di crisi (e chissà che non sia indicativo, ma anche di buon auspicio anche per l’Italia e per il resto dei Paesi colpiti, ndr) gli ordini stanno ripartendo, anche con una certa celerità. In questo momento, comunque, è difficile fare previsioni, la cosa più importante è quella di rispettare le regole e mettere la tutela della salute al primo posto”.
Sulla costa toscana, nel cuore di Bolgheri, Cinzia Merli, vice presidente - insieme a Priscilla Incisa della Rocchetta - del Consorzio, guidato da Albiera Antinori, parla di “un limbo nel quale tutto il mondo del vino sta vivendo. Un momento difficilissimo da capire, in continua evoluzione e rispetto al quale c’è ben poco da fare. In Italia il mercato è fermo, e ci aspettiamo che lo stesso accada a breve anche in Usa, ma la speranza, che ad oggi appare davvero troppo ottimistica, è che la situazione si risolva nei tempi in cui si è risolta in Cina. Difficile, perché Paesi come Germania, Francia, Spagna e ovviamente gli Stati Uniti, stanno prendendo le prime misure soltanto adesso, l’importante è che la gente sia responsabile per uscirne tutti insieme e ripartire, noi siamo pronti”.
Si prepara al peggio anche il presidente della Doc Sicilia, Antonio Rallo, con una punta in più di dispiacere dettata “dai numeri straordinari di gennaio e febbraio, che comunque mettiamo da parte, e da cui ripartire, frutto dell’ottimo lavoro fatto sin qui. Adesso, però, i consumi on trade in Usa sono destinati al collasso, proprio come è successo qui in Italia. Difficile fare calcoli o previsioni, per la Doc Sicilia, che esporta il 56% della propria produzione, gli Stati Uniti sono costantemente sul podio dei mercati top, adesso dobbiamo capire se le misure prese sono sufficienti a contenere in tempi brevi l’epidemia oppure se, al contrario, i tempi si allungheranno, proprio in virtù del ritardo con cui sono state prese certe decisioni”.
Infine, il punto di vista di Stefano Zanette, presidente del Prosecco Doc, bollicina diventata nell’ultima decade vero e proprio status symbol tra i wine lover Usa, che racconta come “i segnali a cui stiamo assistendo in questo momento sono assolutamente contrastanti: da un lato il comparto Ho.re.ca. in Italia si è completamente fermato, mentre la Gdo sta dando segnali di una sensibile crescita. Per quello che riguarda i mercati esteri, a partire dagli Stati Uniti, ma questo vale per tutti gli altri Paesi, a fronte di un’ipotetica adozione di misure analoghe a quelle italiane, che da quello che ci viene detto dalla stampa nazionale e dall’Oms sono assurte a modello, ci attendiamo una replica delle medesime performance”.
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