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RISTORAZIONE

La ristorazione italiana ai tempi del Covid-19, tra un presente poco roseo e gli scenari futuri

In profonda crisi, la ristorazione chiede un protocollo sostenibile per la riapertura. Mangiare al ristorante? Sarà sicuramente diverso
EMERGENZA CORONAVIRUS, RISTORAZIONE, TECNOLOGIA, Non Solo Vino
La trattoria “il Ciak” di Trastevere testa i divisori in plexiglass

Per avere una data precisa per il via libera alla riapertura di bar e ristoranti, si dovrà sicuramente attendere i dati conseguenti all’allentamento delle misure restrittive del 4 maggio. Quel che è sicuro, però, è che uno dei settori diamante del made in Italy è in forte difficoltà, e ormai da settimane migliaia di imprenditori dell’industria alimentare, vinicola e ristoratori di tutta Italia chiede di trovare soluzioni e protocolli per poter ripartire, in tutta sicurezza. Perché se accordi e sistemi di protezioni si sono trovati per altri settori fondamentali per l’economia del Paese, è altrettanto vero che ad oggi risposte dal Governo per la ristorazione non ci sono state. Fipe-Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Confcommercio), e Unione Italia Food (Uif) si sono uniti da subito al grido di aiuto che viene da un settore, quello della ristorazione, che coinvolge anche buona parte dell’industria alimentare italiana: solo nei primi due mesi di chiusura di bar, ristoranti e mense, servizi di catering, le aziende che fanno parte delle categorie rappresentate dall’Unione, hanno registrato una contrazione dei fatturati superiore ad 1 miliardo di euro, destinato a raggiungere quota 4 miliardi sul 2020. “Nonostante spesso si pensi che tutto il settore dell’alimentare abbia avuto buoni risultati perché non ha subìto le chiusure - spiega Mario Piccialuti, Direttore di Unione Italiana Food - molte aziende del settore hanno visto però chiudere il loro unico canale distributivo. Decine di aziende hanno da mesi interrotto completamente la loro attività - continua - perché non hanno sbocco sul mercato se i pubblici esercizi rimangono chiusi: ristorazione, bar, catering, oltre ad offrire servizi a tutti i loro clienti, rappresentano anche un canale di vendita indispensabile per l’economia dell’alimentare. Abbiamo retto molto a lungo, non riusciremo oltre”. Una crisi drammatica che si somma a quella dei pubblici esercizi: la perdita stimata per il settore nel 2020 è di 34 miliardi di euro, con 50.000 imprese che potrebbero non riaprire e 350.000 posti di lavoro a rischio. Una situazione drammatica insomma, che ha bisogno di risposte e soprattutto di un protocollo unico in tutta Italia, che tenga conto di tutte le forme di ristorazione che compongono il panorama ristorativo del Belpaese, e che sia sostenibile da piccoli e grandi locali, dal punto di vista economico, burocratico, ma anche da quello degli spazi: pensiamo alle piccole trattorie di paese, ai piccoli wine bar che propongono stuzzichini tipici, che hanno personale e spazi ridotti, e che quindi non potranno attuare come unica soluzione per la riapertura il distanziamento sociale. Quello della ristorazione è un settore che può essere considerato anche d’intrattenimento, per cui da non sottovalutare è la totalità dell’esperienza del cliente, che con tutte le precauzioni del caso, deve restare piacevole e pratico. Proprio su questo punto, si sofferma la denuncia della Fipe/Confcommercio, nelle parole del presidente Lino Enrico Stoppani, che sottolinea come “o si riaprono i locali, dando ai ristoratori la possibilità di lavorare in sicurezza, con protocolli organizzativamente praticabili ed economicamente sostenibili, seppur con capienze ridotte, oppure è preferibile tenere tutto chiuso. A quel punto lo Stato dovrà in qualche modo aiutare 1,25 milioni di persone che dovranno vivere sulle sue spalle, almeno fino quando il Coronavirus sarà stato vinto”.
Le soluzioni, quindi, non sono certo facili da trovare, ma il settore ha bisogno di risposte per poter uscire da una crisi che è già estremamente profonda. In altri Paesi europei, qualche aiuto è arrivato: in Germania, ad esempio, il Governo tedesco ha deciso di abbassare temporaneamente l’Iva per la gastronomia. Per ristoranti e caffè la tassa sarà ridotta dal 19% al 7% sui pasti, a partire dal 1 luglio 2020 e per 1 anno. Ad ora, le uniche direttive pratiche, che si troveranno nel decreto che segnerà il via libera alle aperture, che potrebbe essere il 18 maggio, ma anche il 1 giugno, sono le deroghe comunali all’utilizzo di spazi aperti e parcheggi dove collocare i tavolini dei locali, per poter garantire il distanziamento di almeno 2 metri tra un tavolo e l’altro, e un’area minima in metri quadrati per singolo cliente (ancora da definire). Solo nei casi in cui queste raccomandazioni non possano essere applicabili (e saranno molti più casi di quanti si possa pensare), scatterebbe l’obbligo di utilizzo dei distanziatori in plexiglass sui tavoli. Ma se un protocollo effettivo ancora non esiste, quello che si sa di certo è che mangiare al ristorante non sarà più come prima. Se l’innovazione tecnologica è stata in tanti settori la risposta, qualche idea “del futuro” che potrebbe aiutare c’è anche per bar e ristoranti.
In uno scenario che ricorda quasi i “The Jetsons” (cartone animato nato negli anni Sessanta negli Stati Uniti, conosciuto in Italia come “I pronipoti”), che immaginava una vita futuristica fatta di robot e agevolazioni quotidiane della tecnologia, in questi mesi di progetti, proposte e brevetti ne sono arrivati: Marco Zorzettig, ad esempio, alla guida de La Tunella, azienda vitivinicola friulana, in collaborazione con Gimmi Bodigoi, proprietario dello Studio SBengineering, ha lanciato TAACfatto, una colonnina dotata di scanner capace di misurare la temperatura corporea e, nel caso, bloccare l’accesso al locale. Oppure, la startup veneziana Sunrise, che ha brevettato il digital totem “Spray for life”, che unisce un termoscanner per la misurazione della febbre a due apparati per la disinfezione di mani e piedi, e un video di riconoscimento facciale per permettere di verificare se un cliente indossa la mascherina. Allo stesso modo funzionerebbe “Det 2000”, dell’azienda Borinato Security del vicentino: un tablet, installato in totem all’ingresso del locale, che legge la temperatura ed è in grado di riconoscere se il cliente indossa o meno la mascherina. Lo studio Banchetti Architettura di Omegna non solo propone porte blindate con apertura a riconoscimento facciale e rilevamento della temperatura, ma anche schermi per il distanziamento di sicurezza per sedute esterne e panche, pannelli di plexiglass, oppure stickers per personalizzare e rendere più divertenti le visiere per la protezione personale. E non solo: una volta superato lo scoglio del controllo all’ingresso, anche le ordinazioni potranno essere gestite con la tecnologia, come propone “T-Ordino”, brevetto della Risto-Technology startup di Bolzano, che insieme a Samsung ha sviluppato un sistema che consente la visualizzazione del menù in formato digitale sui tablet, usati per l’ordinazione direttamente dal cliente al tavolo, che arriva in cucina per via telematica. Oppure l’utilizzo dei QR Code, come offrirebbe la piattaforma MyCia: attraverso il proprio smartphone, i clienti avrebbero l’accesso al menù, compreso di menù del giorno, carta dei vini e informazioni su allergeni e valori nutrizionali dei piatti.
Quel che, per adesso, il settore può fare è volgere lo sguardo ad Oriente, dove l’emergenza Coronavirus è esplosa prima, e la vita sta riprendendo un ritmo che si avvicina sempre di più alla normalità. In Cina, ad Hong Kong ma anche in Corea del Sud, i ristoranti ed i locali hanno riaperto, con accorgimenti e precauzioni a cui dovrà, con tutta probabilità, affidarsi anche l’Italia e tutti i Paesi Occidentali, per dare finalmente il via alla fase di convivenza con il virus. Come hanno affrontato quindi la riapertura dei locali questi Paesi? In tutti, c’è stato una significativa limitazione alla capacità: ad Hong Kong, ad esempio, un’ordinanza governativa impone ai ristoranti di mantenere la capacità al di sotto del 50% e di ridurre i gruppi solo a quattro persone. Inoltre, è richiesto anche di mantenere almeno un metro e mezzo di distanza tra i tavoli per evitare affollamenti. E oltre alla misurazione della temperatura all’ingresso, sia in Cina che ad Hong Kong è richiesto ai clienti il codice di riconoscimento dato dall’app che il Governo usa per il tracciamento degli spostamenti (che ha ispirato l’italiana Immuni), e di firmare un’autodichiarazione di non essere entrato a contatto con il virus negli ultimi 14 giorni. Presenza fissa nei ristoranti asiatici sono, poi, i separatori in plexiglass, insieme al disinfettante per le mani e per i tavoli.
Ma, si sa, “Paese che vai, usanza che trovi”: la globalizzazione è reale, ma la ristorazione è comunque ancora la faccia delle tradizioni di un Paese. In Italia, questa è fatta anche e soprattutto di piccole realtà territoriali, che si fanno portavoce di tradizioni e conoscenze destinate a perdersi, di sperimentazione tra passato e futuro, tra diverse culture che si incontrano, dove la tecnologia non potrà mai rimpiazzare l’uomo. Realtà, che vanno a tutti i costi protette e sostenute.

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