Da qualche tempo, già prima del Covid, il mondo del vino italiano e quello della finanza avevano iniziato ad incontrarsi con più intensità. Se poche sono ancora le cantine quotate in Borsa (Masi e Italian Wine Brands, entrambe sul listino Aim), di più sono quelle che vedono fondi di investimento nel proprio capitale, sia in quote di maggioranza che di minoranza (nomi come Zonin 1821 che vede come socio di minoranza la 21 Invest di Alessandro Benetton, o Farnese Vini, guidata da Valentino Sciotti, oggi controllata dal fondo Usa Platinum, o ancora la stessa Masi, che vede come nuovo socio di minoranza la Red Cirlce Investment del patron di Diesel Renzo Rosso, solo per fare degli esempi). Altre realtà, anche importanti, negli ultimi anni hanno emesso minibond (da Tenute Piccini a Velenosi, da Tasca d’Almerita a Cantina Offida), altri ancora, come Collina dei Ciliegi, produttrice di Amarone della Valpolicella, sperimentano la via della vendita “en primeur”. E non mancano linee di credito di banche ed istituti di credito che vedono come garanzia proprio le grandi bottiglie di vino, fino a strumenti che trasformano il liquidità persino il magazzino, come Supply@me, di cui abbiamo scritto qualche giorno fa. Tutti strumenti per accedere a capitali alternativi, investire e crescere, con una finanza che, a causa del Covid, anche attraverso il canale più tradizionale delle banche, sarà sempre più importante per il mondo del vino. Che, intanto, tra marzo e maggio 2020, solo in Italia, ha perso qualcosa come 2 miliardi di euro, “equivalente al 20% dei ricavi non più recuperabili nel 2020”. A dirlo l’analisi dei consumi di vino prima e durante il lockdown in Italia, presentata oggi da Davide Gaeta, professore associato del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Verona (e produttore di Amarone della Valpolicella, con la cantina Eleva), nel webinar “Banche, fondi e garanzie. Vino, diamogli credito - Mercati in trasformazione ed effetti economico-finanziari sui bilanci delle imprese vitivinicole”, organizzato da Foragri, in collaborazione con L’Informatore Agrario, Vite & Vino e Centro Studi Management DiVino (in partnership con Monte dei Paschi di Siena, Crédit Agricole, Made in Italy Fund, Inseec U. Research Center ed Ismea).
Un dato, quello presentato dal professor Davide Gaeta, che arriva dall’indagine realizzata con l’Associazione Europea degli economisti del Vino (già anticipata da WineNews), guidata da Jean Marie Cardebat, che ha indagato i consumi in otto Paesi del Vecchio Continente (Spagna, Belgio, Italia, Francia, Austria, Germania, Portogallo e Svizzera). Per l’Italia, due terzi degli intervistati (complessivamente 1.146) dichiara di aver diminuito il consumo di vino nel confinamento forzato; in crescita gli acquisti on line con una quota del 15,5% che superano il canale wine store e quello diretto in cantina nonostante la massiccia organizzazione di delivery (scelti rispettivamente dal 10,5% e dal 14,3% del campione).
Per Davide Gaeta, “l’analisi dei consumi pre e durante il lockdown evidenzia l’attuale crisi di liquidità delle aziende vitivinicole italiane, a cui si aggiunge anche la drammatica difficoltà degli incassi riferiti persino alle vendite sul canale horeca di fine 2019. Ora servono misure urgenti di politica economica per recuperare la crescita dei consumi. Una leva potrebbe essere rappresentata dalla riduzione di qualche punto dell’Iva, oltre che di un nuovo approccio del consumatore. Infatti, circa il 70% del campione coinvolto si dimostra sensibile nei confronti dell’acquisto di vino locale per sostenere l’economia e le cantine del territorio”.
In ogni caso la perdita del 20% del giro di affari per il settore vitivinicolo italiano prevista dagli analisti, nel 2020, impatterà in modo significativo sui bilanci delle imprese. Secondo Luca Castagnetti, direttore del Centro Studi Management DiVino, che ha analizzato un campione di 618 aziende (tutte le imprese del settore con ricavi da 3 milioni di euro in su) simulando le performance del 2020, “le proiezioni vedono le imprese minori in perdita significativa (Ebit, ovvero l’utile operativo prima degli oneri finanziari e delle imposte, a -3,6%). Calo rilevante anche per le medie aziende (Ebit -2,3%), a fronte di una media stabile nell’ultimo triennio del +4%; per le imprese con fatturato superiore ai 30 milioni di euro, la simulazione registra un valore positivo dell’ebit dell’1,1% ma a fronte di un +5,7% degli ultimi anni.
Secondo Castagnetti, “sotto l’aspetto finanziario l’annullamento dei flussi di cassa gestionali farà esplodere il fabbisogno di strumenti finanziari, con un incremento che per le imprese da 3 a 10 milioni di euro sarà di 7 volte superiore rispetto al periodo pre-Covid”. Una necessità, quella dell’intervento finanziario, che secondo l’analista sarà fondamentale per difendere la filiera da eccessive pressioni al ribasso per uva e vino e quindi per mantenere in equilibrio la distribuzione del valore”.
Ma non basta, secondo lo studio, sarà fondamentale una spending review che non demoralizzi la ripresa, sostenere l’export attraverso aggregazioni di produttori, sviluppare il canale online, lavorare di più con gli istituti di credito e aprirsi ai mercati finanziari. Un percorso già in atto, e che, con ogni probabilità, riceverà una robusta accelerazione a causa della pandemia.
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