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UVA & MERCATI

L’Italia è leader europeo per l’uva da tavola, ma per il futuro servirà più innovazione ed export

Il piano di rilancio di Cia-Agricoltori Italiani inviato alla ministra Bellanova: al centro le varietà, più aggregazione e rapporti coi Paesi terzi
CIA-AGRICOLTORI, TERESA BELLANOVA, UVA DA TAVOLA, Non Solo Vino
Italia leader Ue dell’uva da tavola, il piano di Cia-Agricoltori Italiani per crescere

L’Italia è leader nella produzione europea di uva da tavola ma deve rinnovarsi e cambiare marcia per non perdere la propria posizione di forza. Anche per questo motivo Cia/Agricoltori Italiani lancia una strategia nazionale di rilancio dell’uva da tavola Made in Italy che prontamente è finita sul tavolo della ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, del sottosegretario Giuseppe L’Abbate ma anche dei presidenti delle Commissioni Agricoltura di Camera dei Deputati e di Senato della Repubblica e degli Assessori delle Regioni.
La “ricetta” di Cia/Agricoltori Italiani guarda al futuro e poggia su tre punti: innovazione varietale, per rispondere meglio alle esigenze dei consumatori; relazione con il mercato per superare la scarsa aggregazione e rapporti nuovi con i Paesi terzi per allargare e diversificare le esportazioni.
L’obiettivo è quello di ridare competitività ad un settore che vale quasi un miliardo di euro (di cui 600 milioni di export) ma che sconta, negli ultimi anni, debolezze strutturali e situazioni climatiche negative. Con 1 milione di tonnellate l’anno su una superficie coltivata di 46.000 ettari, principalmente in Puglia e Sicilia, l’Italia è il principale produttore del Vecchio Continente ma attualmente l’offerta nazionale è incentrata su varietà storiche (come ad esempio Vittoria ed Italia) con quote ancora abbastanza limitate di uve senza semi che rappresentano meno del 35% della produzione tricolore. “Per questo motivo - ha evidenziato Cia-Agricoltori Italiani - le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai paesi produttori emergenti che, nel tempo, hanno guadagnato quote di mercato proprio grazie alle nuove varietà apirene, ovvero prive di semi, intercettando le crescenti preferenze delle famiglie”. Incontrare i nuovi gusti e le esigenze dei consumatori è fondamentale per non perdere terreno. Ecco perché nella strategia di rilancio dell’uva da tavola viene messa al primo posto l’innovazione varietale, tanto più che finora è stata dettata principalmente da programmi di breeding internazionali. Per l’organizzazione, non esiste una ricetta unica applicabile a tutti i contesti produttivi, ma occorre garantire ai produttori una disponibilità di varietà affidabili, adatte all’ambiente mediterraneo ed ai cambiamenti climatici, accessibili, che siano valorizzate dalla filiera e apprezzate dal mercato. In determinati contesti, potrebbe essere più efficace puntare a varietà tradizionali con semi, migliorate per alcuni caratteri, che puntano al valore identitario e al mantenimento della biodiversità.
Uno scenario in cui, secondo Cia/Agricoltori Italiani, è fondamentale “sostenere programmi nazionali di ricerca pubblico-privata e miglioramento genetico per l’uva da tavola, con sinergie tra istituzioni pubbliche, enti scientifici e imprese; finanziare piani di rinnovamento e riconversione varietale con risorse ad hoc, anche in chiave di sostenibilità e digitalizzazione; intervenire nei rapporti con i breeders internazionali per evitare squilibri nella filiera e garantire sostenibilità economica alle imprese agricole. Oltre ai ritardi nel miglioramento genetico, a indebolire oggi la filiera italiana contribuiscono anche la scarsa aggregazione in OP (Organizzazioni di Produttori) e la polverizzazione delle strutture commerciali”.
La Cia/Agricoltori Italiani ha aggiunto che, nonostante siano 50 le OP ortofrutticole riconosciute per l’uva da tavola (tre specializzate), il valore di produzione commercializzata attraverso di esse si stima non superi il 30% di quello totale. “La scarsa adesione ad OP si riflette in una scarsa programmazione e in una minore forza contrattuale nelle relazioni di mercato, specialmente con la grande distribuzione - evidenzia Cia/Agricoltori Italiani -. Dunque, stimolare e promuovere l’adesione a strutture aggregate, in OP controllate dagli agricoltori ed efficaci nei servizi, è strategico. In più consentirebbe di poter migliorare la pianificazione della produzione, così come le attività in post-raccolta, la gestione dello stoccaggio, la commercializzazione del prodotto, la gestione crisi. Il terzo pilastro della strategia di rilancio riguarda i rapporti con i Paesi terzi, “a partire dalla revisione di accordi bilaterali ormai datati, che devono essere ribilanciati e in grado di preservare la competitività dei produttori comunitari. Con particolare riferimento all’accordo Ue-Egitto, occorre rivedere in anticipo la tempistica e introdurre dei limiti quantitativi per l’import di uva a condizione agevolate. Accanto a questo, è necessario un rafforzamento dell’export con l’apertura verso nuove destinazioni, in primis la Cina e tutto il mercato asiatico”.

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