Un anno di resistenza e che riesce addirittura a crescere sul valore dell’export. Nonostante la pandemia e la conseguente crisi economica, l’agroalimentare italiano, rispetto ad altri settori, tiene sui mercati esteri. Compreso il vino il cui comparto subisce, nel 2020, un calo dell’export del -2,4% ma è un risultato nettamente migliore rispetto a quello di altri importanti competitors stranieri, primo fra tutti la Francia, che ha visto le proprie esportazioni contrarsi in valore di oltre il -10%. In generale, se nel 2020 le importazioni (42,3 miliardi di euro) segnano un calo del 4,7%, nettamente più contenuto rispetto a quello dell’import totale (-12,8%), le esportazioni agroalimentari registrano invece addirittura un incremento dell’1,3% (per la prima volta vicine ai 45 miliardi di euro) sebbene con andamenti molto differenziati a livello merceologico. Un quadro ormai ben delineato, e confermato dal Rapporto 2020 sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari, realizzato dal Crea Politiche e Bioeconomia. Giunto alla sua edizione n. 29. Dopo il pareggio raggiunto nel 2019, la bilancia agroalimentare diventa positiva (+2,6 miliardi di euro): il cambio di segno è un risultato rilevante soprattutto considerando che cinque anni fa il deficit della bilancia raggiungeva i 5 miliardi. La riduzione delle importazioni potrebbe essere un campanello di allarme per l’approvvigionamento di materie prime per la nostra industria di trasformazione ma il segno negativo è complessivamente modesto. Di contro, il risultato positivo delle nostre esportazioni in un anno così difficile per l’economia globale è un dato decisamente incoraggiante per il sistema nel suo complesso. Il Rapporto indica come maggio 2020 sia stato il mese più colpito dagli effetti del Covid, sia per l’import che per l’export agroalimentare, ma già da giugno il settore ha reagito: i valori delle esportazioni, infatti, sono tornati in linea con il 2019, mentre la flessione delle importazioni si è attenuata. Il made in Italy gioca un ruolo fondamentale, trainando la crescita dell’export agroalimentare, grazie all’ottima performance di prodotti come la pasta, le conserve di pomodoro e l’olio di oliva. Diminuiscono, invece, le vendite di altri importanti prodotti, come quelli dolciari e i vini Dop. L’Unione Europea si conferma l’area di riferimento per le esportazioni agroalimentari dell’Italia, con una quota di oltre il 65%; seguono Nord America (13,1%) e Asia (7,6%). Complessivamente si riscontrano incrementi delle vendite in valore verso molti dei principali clienti: Germania (+7,1%), Stati Uniti (+5,3%), Regno Unito (+3,1%) e Svizzera (+8,3%). Dal lato dell’import agroalimentare, Francia, Germania e Spagna restano i principali fornitori dell’Italia, con un peso superiore al 35%. Gli acquisti dalla Francia rimangono in linea con il 2019, mentre sono in netto calo quelli dalla Germania (-7,9%) e dalla Spagna (-11,7%). Gli effetti derivanti dalla pandemia da Covid-19 risultano fortemente differenziati a livello territoriale, legati alla specializzazione produttiva e ai mercati di riferimento delle regioni italiane. A fronte di un incremento complessivo dell’export agroalimentare dell’Italia, metà delle regioni registra nel 2020 un calo delle vendite all’estero. La contrazione, soprattutto nel secondo trimestre, dell’export di prodotti come vini, lattiero-caseari, carni preparate, caffè e prodotti dolciari, ha inciso sul risultato negativo di alcune regioni del Centro-Nord Italia, più specializzate in tali produzioni. Di contro, ben cinque regioni del Sud Italia hanno mostrato un andamento positivo anche nei mesi più colpiti dalle misure restrittive, grazie soprattutto alle maggiori vendite all’estero di pasta, conserve di pomodoro e olio di oliva. Nonostante queste specifiche perfomance settoriali, nel complesso, a partire dalla seconda metà del 2020, si osserva un miglioramento delle esportazioni agroalimentari in molte regioni italiane.
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