Il pesce che portiamo a tavola? Sempre più straniero, e di conseguenza pescherecci italiani soffrono una crisi epocale. Le importazioni in Italia registrano un balzo importante (+24%) nel primo semestre 2021. Un trend che mette in allarme la flotta tricolore che negli ultimi 35 anni ha perso quasi quattro imbarcazioni su dieci con un impatto devastante su economia e occupazione. Ma anche i consumatori devono stare sull’attenti perché i prodotti stranieri possono avere una qualità e una sicurezza diversi da quelli italiani. Una fotografia della situazione è stata scattata dall’analisi dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati Istat in occasione del lancio del Piano nazionale delle cooperative Uecoop per il consumo di pesce Made in Italy a chilometro zero, iniziativa nel “Programma Nazionale Triennale della Pesca e dell’Acquacoltura”, in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole. Gli italiani amano il pesce, ne mangiano 28 chili all’anno a testa, dato superiore alla media europea, ma comunque un quantitativo più basso se confrontato a quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile. Un nome su tutti il Portogallo, Pese dove se ne consumano quasi 60 chili.
“In Italia la crisi dei pescherecci - sottolinea Uecoop - diminuisce la possibilità di portare in tavola pesce Made in Italy, favorendo gli arrivi dall’estero di prodotti ittici che non hanno le stesse garanzie di sicurezza di quelli tricolore. Per combattere le frodi è fondamentale prevedere l’obbligo di indicazione in etichetta del giorno in cui il pesce è stato pescato in modo da garantire la massima informazione e trasparenza sulla freschezza del prodotto e l’indicazione di origine va inserita oltre che sui banchi del mercato o dei supermercati anche per i piatti proposti nei menù dei ristoranti, un po’ come avviene per la segnalazione sull’uso di prodotti freschi oppure surgelati”.
Nel 2021 le importazioni di pesce straniero rischiano di superare gli 860 milioni di chili secondo le proiezioni di Uecoop sull’anno, “con il rischio di un aumento di truffe e inganni: dalla vendita di specie meno pregiate al posto di quelle migliori all’uso di sostante per far sembrare il pesce più fresco o per gonfiarlo d’acqua e speculare sul peso. E’ frequente l’utilizzo di sostanze in grado di ritardare o mascherare i fenomeni alterativi. In alcuni casi sono sostanze il cui utilizzo sarebbe anche consentito, ma che non vengono dichiarate in etichetta, come l’acido citrico o il citrato di sodio o i solfiti, altre volte invece si tratta di sostanze vietate come l’acqua ossigenata con cui si “sciacqua” per sbiancarli, calamari, seppie e polpi”.
E poi ci sono “mosse” mirate a speculare sul peso ai danni dei consumatori. Come la “glassatura” in cui l’acqua utilizzata per mantenere idratata la superficie del pesce, spiega Uecoop, “viene fatta congelare creando uno strato superficiale di ghiaccio oppure mediante salamoia o iniezioni possono essere aggiunti additivi alimentari, come i polifosfati o la glicina, che pur non essendo in genere nocivi per l’uomo, tendono a trattenere l’acqua aumentandone il peso del prodotto. Un discorso a parte meritano poi i pesci da consumarsi crudi (o poco cotti) come nel Sushi con il rischio della presenza del parassita, Anisakis se non viene praticato l’abbattimento termico a meno 20 gradi per almeno 24 ore oppure a meno 35 gradi per almeno 15 ore. Fra le truffe più diffuse - sottolinea Uecoop - c’è poi lo “scambio” di specie di minor valore al posto di quelle più pregiate: l’acciuga o alice viene spesso sostituita da spratto o papalina, la sardina può essere anch’essa rimpiazzata con papalina o spratto oppure con alaccia, mentre in sostituzione del bianchetto sia fresco che lavorato, ma anche al posto del rossetto, vengono usate specie, molto diffuse nei paesi asiatici, generalmente importate dalla Cina come prodotto congelato. Il merluzzo spesso viene sostituito, soprattutto se commercializzato in forma di filetti, con specie meno pregiate ma molto simili nelle dimensioni e nel colore della carne, come il pollak o il merluzzo carbonaro. La sogliola, molto apprezzata per le sue carni magre e facilmente digeribili, viene scambiata con molte specie dalla forma simile ma di valore commerciale inferiore come la sogliola turca, la sogliola atlantica o la sogliola indo-pacifica con lievi differenze nell’aspetto della pinna pettorale”. E poi il pesce persico, una specie di acqua dolce autoctona dell’Italia molto richiesta dal mercato europeo ed italiano e commercializzato in notevoli quantitativi, in particolare sotto forma di filetti ma che, evidenzia Uecoop, “viene largamente sostituito con persico africano proveniente principalmente dal Kenya e dalla Tanzania, zone in cui si verificano talvolta gravi problemi di inquinamento. La platessa, venduta soprattutto in forma di filetti congelati e ampiamente utilizzata nelle mense, è spesso sostituita con altre specie i cui filetti sono simili, come la passera, la passera del Pacifico, la platessa del Pacifico e la limanda. Il nasello è una specie pregiata, venduta prevalentemente fresca ma anche in forma di filetti, che può essere sostituita, in particolare a livello di ristorazione, con pesci di valore commerciale inferiore come per esempio il capellano o busbana, il merlano o molo, il melù o potassolo. Un “classico” degli scambi è quello del pesce spada con lo squalo smeriglio. E anche i calamari italiani - sottolinea sempre Uecoop - sono molto spesso sostituiti con “cugini” di minor pregio come il calamaro del Pacifico, il calamaro indiano, il calamaro atlantico o il calamaro sudafricano mentre al posto di un’ottima rana pescatrice si rischia di mangiare un pesce rospo, un pesce prete o una gallinella, mentre è molto pericolosa la sostituzione con il pesce palla che comprende specie velenose a causa della presenza di una potente neurotossina, la tetrodotossina”.
Da questo scenario viene lanciato un appello finale da Uecoop: “senza pescherecci non ci può essere vero pesce Made in Italy a tavola per questo è strategico utilizzare parte delle risorse del Recovery Plan per rinnovare la flotta italiana, salvare i 28.000 posti di lavoro che garantisce al Paese e promuovere la sovranità alimentare italiana anche nel settore ittico a tutela di imprese e famiglie”.
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