Il mercato del vino sta ritrovando la sua normalità, dopo il terremoto scatenato dalla pandemia, ma adesso una nuova tegola minaccia la stabilità del comparto: quella delle spese. Ammonta infatti a 800 milioni di euro il conto complessivo dei rincari su materie prime, trasporti ed energia per il comparto vino. Una bolletta salata che, secondo un’inchiesta del “Corriere Vinicolo”, rischia di incidere pesantemente su redditività e competitività delle aziende italiane, che già devono tener conto del rialzo dei prezzi conseguenti ad una vendemmia quantitativamente scarsa ma promettente in ottica qualitativa.
Stando alle elaborazioni del settimanale dell’Unione italiana vini (Uiv), che nella prima puntata dell’approfondimento (n. 31 del 4 ottobre) ha quantificato tra il 20 e il 60% l’incremento dei costi delle materie prime, gli effetti combinati del blocco produttivo dovuto alla pandemia e della ripartenza a doppia cifra interesserà il settore vitivinicolo almeno fino ai primi mesi del prossimo anno, quando, nelle previsioni più ottimistiche, il mercato dovrebbe riequilibrare le tensioni tra domanda e offerta. Nel frattempo, il trade-off tra marginalità delle imprese e portafoglio dei consumatori resta un’incognita.
Per Paolo Castelletti, segretario generale Uiv, “l’aumento dei costi industriali sta ridimensionando la ripresa economica del settore, minando la redditività delle imprese nonostante le buone performance delle vendite. Per evitare che questa stangata economica si traduca un gap di competitività sui mercati è importante quindi che la politica e le istituzioni continuino a stimolare gli investimenti e la promozione”.
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